Da mercoledì 23 aprile la salma di Papa Francesco sarà esposta per tre giorni nella Basilica di San Pietro in Vaticano per consentire ai fedeli di dare l’ultimo saluto al Pontefice in vista delle esequie solenni in programma sabato 26 aprile, alle 10, sul sagrato della stessa Basilica. Dopo il funerale, il feretro sarà trasferito nella Basilica di Santa Maria Maggiore per la tumulazione. Il Consiglio dei Ministri ha deliberato cinque giorni di lutto nazionale. A novembre del 2024, il Santo Padre aveva introdotto delle modifiche rispetto al rito funebre papale chiedendo di essere sepolto in una semplice bara in rovere e di non essere esposto su una piattaforma rialzata.

Cos’è la tanatoprassi e per chi è già stata utilizzata
Considerata la lunga esposizione, al fine di evitare il deterioramento della salma di Papa Francesco, si è ricorsi alla tanatoprassi, un procedimento di imbalsamazione temporanea che permette di conservare integra l’immagine del defunto ritardando l’inizio del processo di decomposizione del corpo fino ad un massimo di due settimane dopo il decesso. Il medesimo trattamento post-mortem è stato impiegato per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Pelé.
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La tanatoprassi accelera la trasformazione dei resti in polvere
Il termine tanatoprassi nasce dall’unione di due parole greche: “thanatos” (“morte”) e “praxis” (“pratica”). Ad introdurre tale tecnica in Italia per la prima volta nel 1995 fu Andrea Fantozzi, fondatore dell’Istituto nazionale italiano di tanatoprassi (I.N.I.T.) che si occupa di formare i professionisti del settore. Nelle ore successive al decesso vengono eseguiti un’iniezione di un fluido conservante nel sistema arterioso e una serie di trattamenti estetici volti a prevenire le problematiche legate al naturale processo di decomposizione di un corpo quali la fuoriuscita di liquidi organici e la presenza di vapori nauseanti. La tanatoprassi, inoltre, accelera la trasformazione dei resti in polvere.