Turco, parla il carabiniere che ha arrestato Matteo Messina Denaro

Turco, parla il carabiniere che ha arrestato Matteo Messina Denaro: “Ho pianto”

Germana Bevilacqua

Turco, parla il carabiniere che ha arrestato Matteo Messina Denaro: “Ho pianto”

| 27/09/2023
Turco, parla il carabiniere che ha arrestato Matteo Messina Denaro: “Ho pianto”

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Matteo Messina Denaro è morto. Il boss di Cosa Nostra si è spento la notte tra il 24 e il 25 settembre in un reparto dell’Ospedale de L’Aquila in regime di 41bis, dopo il suo arresto avvenuto a Palermo lo scorso 16 gennaio. A catturarlo sono stati i carabinieri Pietra e Turco, nomi di battaglia, che lo hanno fermato a Palermo fuori dalla clinica “La Maddalena”. In ogni angolo della vie limitrofe c’erano gli altri uomini del Ros (Raggruppamento operativo speciale) e del Gis (Gruppo d’Intervento Speciale). “Siamo scoppiati tutti a piangere – confessa Turco a Fanpage.it -. L’emozione era tanta. Subito dopo aver abbracciato i miei colleghi, la prima chiamata che ho fatto è stata a mio padre”. Turco ha raccontato cosa è successo la mattina del 16 gennaio. “Poco prima delle 9.10 il comandante della sezione Crimor fa girare una fotografia che immortala Matteo Messina Denaro vestito con il montone arancione mentre fa il suo ingresso alla Clinica della Maddalena ma che in realtà sappiamo essere già uscito. Quindi io e altri colleghi impegnati nella cinturazione della Maddalena iniziano subito a cercarlo nelle vie circostanti”. Il racconto continua: “Arrivati in via Domenico Lo Faso noto la sagoma della persona della foto all’interno di un’auto bianca, era seduta nel lato passeggero. Si gira verso di me, lo riconosco subito. Anche perché ho notato una somiglianza incredibile con la sorella maggiore Rosalia. Lo faccio scendere dalla macchina. Intanto un altro collega blocca l’autista, Giovanni Luppino. Li immobilizziamo e li accompagniamo a terra. In pochi secondi arrivano tutti gli altri colleghi del Ros e del Gis. Ci rendiamo conto che abbiamo realizzato il nostro sogno: Matteo Messina Denaro è nelle nostre mani”.

“Mi sono arruolato per questo: il mio obiettivo era quello di arrestare un latitante”

Il boss di Castelvetrano è stato catturato dopo oltre 30 anni di latitanza ed è stato sepolto mercoledì 27 settembre nel cimitero del suo paese. L’arresto è stato un momento di grande commozione per chi ha lavorato duro per anni per raggiungere questo risultato. “Dopo aver messo in sicurezza i due arrestati – racconta ancora Turco –  tra noi militari ci siamo abbracciati e siamo scoppiati a piangere. Sono passati mesi ma devo dire che questa cosa mi fa ancora emozionare tantissimo. Ricordo tutto quello che è successo in quei pochi secondi: è la realizzazione di un sogno. Mi sono arruolato per questo: il mio obiettivo era quello di arrestare un latitante. In quell’istante era il latitante numero uno in Italia se non in Europa”. I sacrifici in questi anni sono stati tanti. “E anche da parte delle nostre famiglie – sottolinea – che ci hanno visti per troppo poco tempo. In quegli istanti si pensa anche a questo. La prima persona che ho chiamato è stato mio padre. Perché sapeva poco del mio lavoro negli ultimi anni: in pochi secondi l’ho informato di tutto quello che non sapeva. Siamo scoppiati entrambi a piangere. Mio papà si è commosso anche perché quando gli avevo comunicato la mia decisione che sarei andato in questo reparto mi ha lasciato intendere che non era concorde con la mia scelta, anche se non me lo ha detto espressamente. Me lo aveva fatto capire”.
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L’arresto di Matteo Messina Denaro (Foto da video)

“Ci sono momenti in cui si pensa di aver fatto la scelta sbagliata”

Per Turco e per molti carabinieri come lui sono stati anni di sacrifici trascorsi lontano dalle famiglie. “Ho pensato a lui – dice ancora il carabiniere –  perché so che i sacrifici erano stati tantissimi: ho sacrificato lui, mia madre, la mia famiglia. Però almeno non era stato tutto vano, anzi con quell’arresto tutto è stato ripagato. E credo che mio padre abbia capito. Ci sono momenti in cui si pensa di aver fatto la scelta sbagliata: a fine giornata si arriva molto stanchi, molte ore di lavoro. Quando l’obiettivo sembra lontano siamo essere umani. Ma dentro di me c’è sempre stato qualcosa che mi ha spinto a restare”. “Nei momenti di sconforto? Mi aggrappavo al sogno che avevo da bambino: volevo sempre arrestare grossi latitanti. Questo mi spingeva a sopportare tutto. Le lacrime che ho visto scorrere sugli occhi di diversi colleghi fanno capire che dietro a questi passamontagna ci sono persone che hanno raggiunto un sogno e hanno sacrificato parte della loro vita per realizzarlo”, conclude.

Pubblicato il 27/09/2023 14:34

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