In un articolo uscito sul “Corriere della Sera”, Aldo Grasso analizza quello che non esita a definire “l’ossessione del crime in tv”. Negli ultimi anni la televisione italiana ha visto un’esplosione di programmi dedicati alla cronaca nera e al “true crime”. Canali tematici come Top Crime (lanciato nel 2013) e Sky Crime (dal novembre 2023) si sono moltiplicati, trasmettendo non solo serie e documentari, ma vere e proprie inchieste giornalistiche su fatti reali, cold case, serial killer e cybercrime. Accanto ai canali dedicati, trasmissioni storiche come “Chi l’ha visto?” e “Telefono Giallo” — risalenti agli anni Ottanta — hanno gettato le basi di un linguaggio televisivo incentrato sul coinvolgimento emotivo e investigativo del pubblico.
Oggi, il genere si manifesta in molteplici format: dalle serie docu real alla conduzione in studio con esperti, dai podcast ai format multimediali, arricchiti da ricostruzioni e interazioni social. Dopo il successo di “Belve”, anche Francesca Fagnani si è buttata sul crime, una “materia” a lei affine dal momento che nasce come giornalista d’inchiesta. “Belve Crime”, nuovo format da lei ideato e condotto, andato in onda martedì 10 giugno, ha vinto la gara degli ascolti grazie anche all’intervista esclusiva a Massimo Bossetti, condannato in via definitiva per l’omicidio della 13enne Yara Gambirasio.
CLICCA E SEGUICI SU FACEBOOK

Aldo Grasso: “Ho esaurito le parole per esecrare l’ossessione del crime in tv”
“Francesca Fagnani è la nuova Franca Leosini?”, si chiede Aldo Grasso. “Mentre con un certo imbarazzo ascoltavo quel dialogo mi sono tornate in mente quelle che chiamo le due profezie di Garapon (magistrato e saggista francese, ndr) – scrive il noto critico televisivo sul “Corriere della Sera” – La prima profezia riguarda la tv (…) Garapon sosteneva che saremmo andati incontro a un fenomeno nuovo, quello del ‘processo continuo’. Grazie ai programmi televisivi, ormai esistono processi senza fine, che debordano dalle aule del tribunale e finiscono nelle spire dei media assumendone le modalità espressive”.
“Avendo esaurito le parole per esecrare l’ossessione del crime in tv – aggiunge – faccio mie quelle di Garapon: ‘I media, strumento di indignazione di collera pubbliche, rischiano di accelerare l’invasione dell’emozione nella democrazia, di propagare un senso di paura e di vittimismo e di reintrodurre nel cuore dell’individualismo moderno il meccanismo del capo espiatorio’. È quello che succede ogni giorno in tv, mattino, pomeriggio e sera”.

Il critico tv si interroga sul futuro: “Gli algoritmi sostituiranno giudici e avvocati?”
“La seconda profezia è stata enunciata in una relazione tenuta (…) nel corso dell’incontro ‘La giustizia al tempo dell’algoritmo’ – continua Aldo Grasso – Meglio essere giudicati da una giuria o da un algoritmo? Gli algoritmi sostituiranno giudici e avvocati? Il digitale, secondo Garapon, elimina quei meccanismi di ‘finzione sociale’ che servono a stabilire fondamentali legami simbolici senza i quali non esisterebbe vita collettiva. Fagnani for ever, processi continui in video e, al posto degli avvocati ospiti fissi, un semplice computer che sentenzia”. Nei mesi scorsi, il critico tv aveva demolito “La vita in diretta” e la presunta “conduzione passivo-aggressiva” di Alberto Matano arrivando a ribattezzare la trasmissione “La morte in diretta” considerata la sua propensione a trattare casi di cronaca nera. Allo stesso tempo, Aldo Grasso aveva bocciato “Nella mente di Narciso”, la docuserie in otto puntate di Roberta Bruzzone disponibile su RaiPlay.

L’innato interesse umano verso il male e il rischio emulazione
Ma come si spiega questo attrazione quasi ossessiva per la cronaca nera? Il proliferare di programmi tv dedicati a delitti e cold case è alimentato da un innato interesse umano verso il male — definito come prodotto sociale — e dal desiderio di comprendere la natura della violenza. Tuttavia, la modalità con cui questi contenuti vengono narrati solleva questioni etiche e culturali. La ricerca dello spettacolo sensazionalistico può compromettere il rispetto per le vittime e incoraggiare fenomeni di “effetto copy cat”, ovvero di emulazione.
Questo avviene in particolare quando l’autore del crimine ottiene una forte esposizione mediatica, diventando involontariamente un “modello” da imitare per soggetti fragili, disturbati o in cerca di attenzione. L’effetto copy-cat è stato osservato, ad esempio, dopo omicidi seriali, sparatorie nelle scuole, suicidi o attentati. Casi molto esposti dalla stampa o dalla tv possono ispirare altre persone a replicare le stesse modalità, spesso con l’intento di ottenere notorietà o “lasciare il segno”. Per questo motivo, molti esperti di comunicazione e criminologi sottolineano l’importanza di un trattamento responsabile delle notizie di cronaca nera, evitando la spettacolarizzazione e la glorificazione dei colpevoli.