È un’intervista intima fatta di confessioni inedite quella rilasciata da Roberto Saviano ad Aldo Cazzullo al “Corriere della Sera” in cui compare anche la parola “suicidio”. A 45 anni lo scrittore di “Gomorra”, noto per il suo lavoro d’inchiesta e per i reportage sulla camorra, ha “la sensazione di aver sbagliato tutto”. Questa percezione l’ha avvertita qualche giorno fa ai funerali di sua zia Silvana, detta Lalla, che l’ha cresciuto insieme alla madre. Nel post con cui annunciava la sua scomparsa, Roberto Saviano aveva già sottolineato come la sua scelta di vita avesse influenzato quella della sua famiglia. “Non c’era nessuno – racconta ad Aldo Cazzullo a proposito delle esequie della zia – I miei vivevano a Caserta. Fin dal 2006 se ne sono dovuti andare nel Nord Italia, anche per mia responsabilità. Sradicati. Non sono riusciti ad aprirsi e si sono isolati. La mia scelta l’hanno pagata altri. Io ne ho fatto attività, impegno. La mia famiglia ha solo pagato. Ha dovuto fronteggiare le insinuazioni: loro figlio, loro nipote aveva diffamato la sua terra…”.
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La confessione dello scrittore: “Sono oppresso da un senso di solitudine”
Di tutto questo lo scrittore se ne fa una colpa. “A un certo punto della mia vita pensavo di aver fatto qualcosa di talmente determinante, che mi sentivo diverso da tutti gli altri scrittori – spiega – Avevo un’ambizione ancora più delirante: non solo affermare il libro; accendere la luce sulle cose, mostrare la verità. Dare superpoteri ai lettori. Far vedere quello che la cronaca non ti mostra o ti mostra a pezzi. Avevo un’ossessione: con i libri, cambiare la realtà (…) Ecco, io credo che sono riuscito a far comprendere. Quelli che mi accusano di aver sputtanato Napoli, dovrebbero riflettere: se l’ho sputtanata, perché da tutto il mondo ci vogliono venire? Io su Napoli ho acceso una luce. E con la luce il cambiamento è possibile. È esplosa la vita. Ma questo a me impone un prezzo altissimo. Io esisto per quello che rappresento, non per quello che sono. La cosa peggiore che può succedere a uno scrittore è diventare un simbolo. Diventi di sasso. Sono oppresso da un senso di solitudine”.

“La clausura è un incubo, frequentarmi significa essere inserito nella mia bolla”
Roberto Saviano paragona la sua condizione ad un ergastolo: “Vivo la mia situazione come se lo fossi. Vivo recluso, senza vederne la fine (…) Ho la sensazione di aver sprecato la mia vita. Vorrei interrompere il lavoro. Ma non ci riesco (…) Non credevo di pagare così tanto. Certo, pensavo di pagare un prezzo, ma non così a lungo. Ma pensavo di durare poco. Nel 2006 avevo ventisei anni. Ero convinto di non arrivare ai trenta, che mi avrebbero ammazzato nel giro di cinque anni (…) A volte mi sento ridicolo. E mi chiedo: vivrò la vita così?”. In cima alla lista di ciò che più gli manca mette la libertà di movimento.
“La clausura è un incubo; e lo è anche dover sempre mentire per difendere gli spazi privati – argomenta – Le mie relazioni amichevoli e amorose sono compromesse da come io ho deciso di vivere la mia condizione. Qualsiasi incontro lo devo fare in casa. Se esco, con cinque carabinieri di scorta, a volte sette, non sono certo invisibile. E la visibilità è la fine di ogni gesto intimo. La tensione, tra i processi e i casini vari, è così alta che chiunque abbia a che fare con me si sente in dovere di difendermi. E tutto questo è diventato pesantissimo. Frequentarmi significa stare dalla mia parte, essere inserito nella mia bolla. La sera di Pasqua i miei parenti, i miei amici mi hanno tenuto compagnia fino alle 7 di sera. Poi sono usciti per Napoli, hanno fatto le 4 del mattino, e hanno fatto benissimo. Ma io sono dovuto restare a casa da solo. Simbolo della mia esistenza”.

Roberto Saviano: “Ho continue crisi di panico, impossibile stare senza gocce”
“È così soprattutto per l’amore – continua Roberto Saviano – Quando voglio bene a una persona, quando una persona mi vuole bene, il rapporto è sabotato. Lei ti saluta, esce, e tu resti chiuso. E non è colpa di chi esce, anzi nessun sentimento sopravvive alla gabbia. E sarei un uomo di potere? Mi viene attribuito un potere che non ho. Mi manca la possibilità di vivere la libertà che l’amore richiede. Capisco cosa prova il gorilla rinchiuso, la tigre nella gabbia: hai la sicurezza assicurata, ma la vita reclusa ha sempre un solo odore. La frase peggiore che chi vive così possa ascoltare è ‘stare con te non dà più leggerezza, è pesantezza’. A volte penso che dovrei mutare vita e rinunciare alla protezione (…) Come fare a uscirne è il mio pensiero costante”. Lo scrittore napoletano confessa di soffrire di continue crisi di panico: “Impossibile stare senza gocce. Le 5 del mattino sono il momento più difficile della giornata. Non respiri. Ti chiedi: e adesso? Dove vado? (…) Da qui il pensiero ricorrente: la mia vita non finirà bene. Se non mi fanno del male, mi farò del male”.
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Roberto Saviano e il suicidio: “Avevo deciso, poi ho capito che la soluzione non era quella”
“Ho pensato al suicidio – ammette – Come diceva Majakovski: mi chiedo se non sarebbe meglio mettere il punto di una pallottola alla mia fine. Quante volte ho pensato: basta, la chiudo qui. Avevo anche deciso. La risposta del mio corpo fu una scarica di nervi. E sono crollato. Mi ero messo davanti allo specchio. E capii che la soluzione non era quella. Quando vivi tra caserme e armi, come me, puoi misurare davvero cosa significa impugnare una pistola e rivolgerla contro te stesso. Non l’ho fatto, ma da allora mi ripeto: da questa storia non ne esci”. “Dovrei sparire e basta – conclude Roberto Saviano – ma una parte di me pensa di dargliela vinta a tutti coloro che hanno cercato di fermarmi. Mi sento come quei reduci, che tornano dalla trincea e quello che sanno fare è solo sparare. Vorrei assumere un’altra identità. Mettermi in testa tutti i capelli possibili…Un me diverso, in giro per il mondo, pieno di capelli, con un altro nome. Ho preso la patente per la moto, ma non posso guidarla; l’ho fatto soltanto in Svizzera, l’estate scorsa, è stato bellissimo. Ora sto prendendo la patente da camionista. Sogno di fare come Erri De Luca, che partì per l’ex Jugoslavia in guerra, alla guida di un camion pieno di viveri. Vorrei un’altra vita. Vorrei non sentire così forte di aver buttato questa che ho”.