Edoardo Bove, 22 anni, giocatore della Fiorentina, parla del malore accusato in campo lo scorso 1 dicembre. Al 17esimo minuto di Fiorentina-Inter disputata allo stadio Franchi, il giovane centrocampista è crollato a terra privo di sensi a causa di un arresto cardiaco. Per chi era presente e per chi stava guardando la partita sono stati attimi di puro terrore. Lui non ricorda niente di quei momenti. Il calciatore si è risvegliato all’ospedale Careggi di Firenze dove è stato trasportato d’urgenza e dove gli è stato poi impiantato un defibrillatore sottocutaneo in grado di rilevare il battito cardiaco irregolare ed erogare uno shock salvavita per riportarne il ritmo alla normalità. Come sta oggi Edoardo Bove a distanza di quasi tre mesi dal malore? La scorsa settimana, il centrocampista della Fiorentina è sbarcato sul palco dell’Ariston su invito di Carlo Conti. Adesso si racconta in una lunga intervista a “Vanity Fair”.
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Edoardo Bove, cosa ricorda del malore: “Ha cominciato a girarmi la testa”
“Ci sono alti e bassi – dice il calciatore a proposito del suo stato d’animo attuale – Ci sono volte in cui mi sveglio e non so dare un senso alla giornata. Ricordo davvero poco, che ero in campo e che a un certo punto ha cominciato a girarmi la testa come quando ti alzi troppo velocemente dal letto, ho avvertito una sensazione di spossatezza… e basta. Non ricordo di essere caduto. Mi sono risvegliato in ospedale, toccandomi le gambe perché pensavo mi fosse successo qualcosa al ginocchio, un incidente. Per me, all’inizio, non è stato difficile come per i miei cari: io non capivo nemmeno la gravità della situazione, pensavo di essere semplicemente svenuto. Loro invece sapevano di avere corso il rischio perdere un figlio, un amico, o di potermi rivedere in condizioni… brutte (…) Mi hanno raccontato che quando ero in ambulanza ho fatto un po’ di casino: gridavo, mi dimenavo, dicevo cose a caso. Ho urlato ‘Fiorentina’ fortissimo. Mi hanno dovuto legare”.

“Devo essere grato alla vita perché tutto è successo col soccorso a portata di mano”
Edoardo Bove ha voluto vedere immediatamente le immagini del suo malore. “Preferisco prenderle di petto le situazioni, reagire immediatamente – spiega – se non posso farci niente, mi dico ‘andiamo avanti, vediamo cosa posso fare subito per stare meglio’. Capire le cause di quello che mi è successo è stato il passo successivo. Cosa ho pensato? Sincero? ‘Ammazza che figura di… davanti al mondo intero. Ma non potevi scegliere un altro momento?!’. Era la partita delle 18, quella per il primo posto in classifica, la stavano guardando tutti. Detesto farmi vedere vulnerabile. Subito dopo, però, ho capito di essere stato molto, molto fortunato. Ho rischiato tanto, devo essere grato alla vita perché tutto è successo in un campo di calcio, col soccorso a portata di mano: in 13 minuti ero in ospedale. Non so come sarebbe andata, se fosse successo in un’altra circostanza. Dopo aver metabolizzato, mi sono sentito la persona più felice del mondo”.

“Era destino che andasse così, che mi salvassi. Non c’è altra spiegazione”
Edoardo Bove racconta come si è sentito quando gli è stato detto che sarebbe potuto morire: “Inizialmente mi hanno prospettato una situazione persino più grave di quanto realmente fosse. Ma lì per lì ero semplicemente contento di essere vivo. Era destino che andasse così, che mi salvassi. Non c’è altra spiegazione. Mi sono chiesto ‘perché proprio a me’ e anche ‘perché proprio nel momento migliore della mia carriera?’. Mi reputo una persona buona, che rispetta sempre tutti, non ho fatto male a nessuno. A quelle domande non ci sarà mai una risposta”. Uscito dall’ospedale dove ha trascorso 12 giorni in ospedale è arrivata la tristezza. “Mi sono buttato giù, non volevo vedere nessuno, non volevo fare niente. Non avevo voglia – confida – Sono un po’ ossessionato dal controllo, una delle mie più grandi paure è perdere quello della situazione. Non ho potuto controllare ciò che mi è successo, e quindi, sotto sotto, già ero arrabbiato per quello. E poi, in questo momento, mi sento completamente in balia degli eventi, impotente”.

Edoardo Bove dopo il malore: “Non poter giocare è stato come perdere il mio amore più grande”
“Se sono arrabbiato con me stesso? Lo sono ancora, un po’ – aggiunge il calciatore – Mi viene da chiedere al mio cuore: ‘Ma che scherzetto mi hai fatto, ma ce n’era proprio bisogno?’ (…) Dal punto di vista medico c’è certamente una causa scatenante, ma ancora la dobbiamo capire fino in fondo. Sto facendo dei controlli, e altri ne farò ancora. Su questo fronte sono positivo e tranquillo. Però è come se il cuore mi volesse mandare un segnale. Queste cose succedono quando il cuore è sotto sforzo, forse troppo (…) Questo incidente mi ha fatto dubitare della mia forza”. Edoardo Bove non riesce ad immaginare la sua vita senza il calcio che è uno dei suoi più grandi amori, insieme a quello per la famiglia e per la fidanzata. “Io, ora, sento di non essere lo stesso senza il calcio – confessa – È difficile esprimere cosa sia il calcio per me: le sembra troppo se dico che è una forma d’arte? So che può sembrare esagerato, perché giustamente uno pensa: ‘Vabbè, rincorrono un pallone…’. Mi manca tantissimo. Non solo quello della serie A, mi manca proprio giocare con gli amici. Non poter giocare è stato come perdere il mio amore più grande, posso spiegarglielo solo così. Adesso la sfida è provare a continuare a essere me stesso, sapendo però di avere perso una parte importante di me”.

“Il mio obiettivo è tornare a giocare a giugno. Ho ancora qualche visita da fare”
“Prima, mi svegliavo la mattina e sapevo che il mio obiettivo era allenarmi – racconta – Ora faccio 200mila cose in più, anche più importanti, ma arrivo a sera e mi chiedo: ma che ho fatto oggi? Non sono appagato allo stesso modo. So che questo è un periodo, una condizione temporanea. Il mio obiettivo è tornare a giocare a giugno. Ho ancora qualche visita da fare, i medici devono incrociare tutti i dati. Se si decide di mantenere il defibrillatore sottocutaneo, in Italia non potrò giocare: qui da noi la salute viene prima dell’individuo, e non sto dicendo che sia una regola sbagliata. Ma all’estero sì, praticamente ovunque. Gliel’ho detto, il calcio è troppo importante per me, non posso permettere a me stesso di mollare così. Io ci riprovo, senza ombra di dubbio. Vedrò anche come starò: se avrò paura, se non sarò tranquillo… allora cambierà tutto. Mi possono dire quello che vogliono, ma l’ultima parola spetterà a me. Anche se decidessi di giocare all’estero, dovrei firmare un documento assumendomi la responsabilità di quanto potrebbe accadermi in campo”.
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“Il giorno in cui andando ad allenarmi non mi sentissi più felice, sarei il primo a dire ‘ciao a tutti’”
Il centrocampista potrebbe decidere di andare a giocare all’estero. “Però non escludo affatto di poter togliere il defibrillatore: i medici mi stanno dicendo che c’è questa possibilità – svela – Sono due gli scenari. Il primo: continuo a giocare a calcio. Il secondo: nel caso in cui non potessi più farlo, lotterei per trovare un nuovo fuoco dentro di me, che mi possa rendere sereno. Quella è la cosa più importante. Il giorno in cui andando ad allenarmi non mi sentissi più felice, sarei il primo a dire ‘ciao a tutti’. Ma non c’è dubbio, io giocherò a calcio”.