Lo chef Andrea Minguzzi rompe il silenzio sulla morte del figlio 14enne Mattia, ucciso a Instanbul. Il fatto di sangue si è consumato in un mercato lo scorso 24 gennaio. Il ragazzino è stato aggredito da due coetanei ed è rimasto ferito da numerosi fendenti che lo hanno raggiunto ai polmoni, ai reni e vicino al cuore. Il ragazzino è morto alle 6.30 di domenica 9 febbraio, dopo alcuni giorni di agonia. Il padre però vuole fare chiarezza su alcuni punti della vicenda. “Non so cosa sia successo, non ho letto le carte – dice in un’intervista al “Corriere della Sera” -. So solo che qui c’è un gruppo di aggressori e una parte lesa. Mio figlio non conosceva i suoi aggressori e io non so i loro nomi. Non ho visto nemmeno il video delle telecamere di sorveglianza. Fino a domenica eravamo concentrati solo sul fatto che Mattia guarisse, a dargli tutta la nostra energia, a trasmettergli il nostro amore e la nostra forza, a passargli sensazioni positive”.

Andrea Minguzzi: “Verso le otto e venti del mattino ci hanno chiamato dall’ospedale”
Lo chef ricorda il giorno dell’aggressione: “La sera prima avevo dato a Mattia la paghetta del mese. Aveva chiesto alla madre il permesso di uscire di buon’ora, voleva approfittare delle vacanze di fine quadrimestre per andare al mercato dell’usato di Kadıköy subito appena sveglio. Doveva comprare delle magliettine, degli accessori per lo skate. Sapeva che per trovare le occasioni migliori bisogna andare presto”. “Verso le otto e venti del mattino ci hanno chiamato – continua – Siamo cascati dalle nuvole. Siamo corsi in ospedale, nella parte asiatica, noi viviamo nella parte europea. In nessun modo avremmo potuto aspettarci una cosa del genere. Alle otto e venti del mattino, poi. Come puoi pensare che accada una cosa del genere al mattino? Mattia aveva 14 anni. Era un ragazzino. Andava in terza media. La sera, se usciva, gli chiedevamo di non fare tardi. Non tornava mai dopo le nove”.
Il piccolo era nato a Istanbul: “Era la sua città – spiega Andrea Minguzzi-. Quando vivevamo a Malta ci siamo restati per circa un anno, nel 2023, per il mio lavoro da chef non faceva altro che ripetermi: ‘Papà, quando torniamo a casa? Quando torniamo in Turchia?’. Istanbul è la nostra casa. E i turchi sono un popolo meraviglioso. Io e mia moglie ci siamo conosciuti qui, ci vivo dal 2007, l’avevamo sempre considerata una città sicura”.
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“Era il mio chef. A volte veniva da me in cucina, mi diceva ‘papà, prepariamo questo piatto?'”
Andrea Minguzzi ricorda il figlio: “Era un bambino normale. Amava il suo gatto Lilli, lo skate, suonava la chitarra classica acustica. Negli ultimi giorni, stava imparando a usare quella elettrica. L’amore per la musica glielo aveva trasmesso la madre Yasemin, che è una violoncellista diplomata al Conservatorio di Milano. E poi amava la buona cucina e i profumi. Quando gli amici gli dovevano fare un regalo spesso sceglievano proprio un profumo. Gli portavano i campioncini o se li procurava lui. Era il mio chef. A volte veniva da me in cucina, mi diceva ‘papà, prepariamo questo piatto?’, ‘proviamo questo taglio di carne?’. Cucinava per me. Parlava italiano, turco e inglese. Aveva nozioni di giapponese, maltese e russo. Sapeva contare in arabo. Era il mio amore, il nostro amore”.
In ospedale hanno tentato di tutto per salvarlo. “Hanno fatto un lavoro straordinario e per questo li ringrazio – aggiunge lo chef -. Purtroppo quando mio figlio è arrivato era già in condizioni disperate. Sapevamo da subito che rischiava la vita. Abbiamo pregato tanto, sperato, lui per due settimane ha combattuto come un leone. Ha lottato fino all’ultimo”.

“Avremmo voluto donare i suoi organi ma per le ferite inferte non è stato possibile”
Una tragedia per la famiglia ma anche per tutti gli amici che amavano Mattia e che adesso si stanno stringendo attorno ai suoi genitori. “I miei colleghi di Eataly ci portavano da mangiare, ci hanno prestato un’auto e un camper dove abbiamo dormito quando non era possibile farlo in ospedale unendo due divanetti – racconta Andrea Minguzzi – Lo tenevamo parcheggiato fuori dall’ospedale. E poi c’è stato l’affetto dei nostri amici della comunità italiana. Ci hanno dato un aiuto che non si può nemmeno descrivere”. Lo chef e la moglie avrebbero voluto donare gli organi del figlio: “Avremmo voluto fare così, pensavamo che in questo modo nostro figlio avrebbe continuato a vivere. Ma per le ferite inferte non è stato possibile”. “Sono credente, lui adesso è un angelo. È il nostro angelo”, aggiunge. “Quello che è successo è terribile, ma io non voglio cedere all’odio, non voglio lamentarmi, non voglio parlare con il senno del poi, non voglio puntare il dito, non voglio fare proteste. Sto vivendo un dolore troppo grande. Ora dobbiamo andare avanti, in qualche modo”, conclude.