SanPa, la verità di Andrea Muccioli: "A San Patrignano c'era violenza ma era una guerra" - Perizona Magazine

SanPa, la verità di Andrea Muccioli: “A San Patrignano c’era violenza ma era una guerra”

Daniela Vitello

SanPa, la verità di Andrea Muccioli: “A San Patrignano c’era violenza ma era una guerra”

| 07/01/2021

Non si arresta la polemica sollevata dalla serie tv “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano” in onda su […]

Non si arresta la polemica sollevata dalla serie tv “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano” in onda su Netflix. Secondo quanti non hanno apprezzato l’opera, questa sarebbe volta a demonizzare la figura di Vincenzo Muccioli che con grazie alla comunità di recupero per tossicodipendenti ha contribuito a salvare migliaia di vite. Più che le luci, la docu-serie evidenzierebbe le ombre di San Patrignano e i metodi discutibili e spesso poco ortodossi usati dal suo patron scomparso nel 1995.

Il “Corriere della Sera” intervista Andrea Muccioli, figlio del fondatore di San Patrignano. Alla morte del padre fu lui a prendere in mano le redini della comunità di recupero riminese. “Non lo definirei proprio un documentario – dice a proposito di “SanPa” – È pura e semplice fiction. Cerca l’effetto ‘pulp’ creando più ombre possibili intorno alla figura del protagonista. Ci riesce benissimo, ma ne falsifica la storia, il pensiero e il modello. Racconta alcuni fatti. In questi giorni sono subissato di telefonate di ex ospiti e dei loro genitori che mi dicono che quella non è la realtà che hanno vissuto. Mio padre in 17 anni ha accolto 8 mila persone. La Procura di Rimini raccolse le testimonianze di 200 persone: sono il 2,5%. La storia di San Patrignano non può essere guardata solo da questa prospettiva”.

“Ho visto un ragazzo puntare un coltellaccio in pancia a mio babbo, avevo 16 anni – racconta Andrea Muccioli – E sì, in quel periodo lui di schiaffoni ne ha dati non pochi. Sapevo anche dei ragazzi incatenati perché non fuggissero. Certo che la violenza c’era a San Patrignano, stiamo parlando di una guerra. Una guerra che però è stata vinta con la forza dell’amore”. Il figlio di Vincenzo Muccioli ammette che i metodi coercitivi furono “errori gravissimi”. Tuttavia, puntualizza: “Quando parliamo di San Patrignano non parliamo della Caritas, con tutto il rispetto. Parliamo di un percorso drammatico di accoglienza di giovani, i tossicodipendenti degli anni ’80, che distruggevano le loro famiglie ed erano abbandonati dallo Stato. Venivano da contesti violenti e sarebbe stato inimmaginabile gestirli con la violenza. Perché la violenza la conoscevano e la esercitavano meglio di te. Come si fa a pensare di poter tenere insieme non dico mille persone, ma anche solo dieci con la forza? Scherziamo? Ecco, a proposito di fatti: la riprova di quello che dico sono le centinaia di bambini che i tribunali di tutta Italia ci diedero in affidamento”.

Andrea Muccioli difende il genitore. “Lui per primo si definiva un padre, e a volte questa cosa gli è sfuggita di mano – spiega – È vero. Lo ripeto, gli ho visto mollare ceffoni. Ma attenzione: non ha mai autorizzato nessun altro a farlo. ‘Un fratello non alza mai le mani su un suo fratello’ diceva. Lui voleva essere una figura forte di riferimento perché i ragazzi riacquistassero la fiducia e il rispetto in se stessi”. “Il suo errore? Voler salvare tutti – aggiunge -L’accoglienza incondizionata ha un prezzo alto da pagare. Lui questo non lo accettava e così facendo a volte ha dato ai ragazzi una responsabilità più grande di quella che erano in grado di gestire. ‘Metto un letto a castello in più e ci arrangiamo’ diceva di fronte alle centinaia di persone accampate fuori dal cancello. Ha aperto troppo rispetto alle nostre capacità organizzative. Il risultato è che ha delegato anche persone impreparate a gestire ragazzi in difficoltà (…) Alla fine mio padre si ammalò, e la depressione lo ha strangolato. ‘Devo morire io perché San Patrignano continui a vivere’ mi confessò”.

Andrea Muccioli racconta così il suo addio a San Patrignano nel 2011: “I Moratti volevano prendere il controllo della comunità. È venuta meno la fiducia reciproca. Io non ero d’accordo con le loro scelte politiche e finanziarie. Così mi hanno destituito. Il messaggio alla comunità fu: se resta lui, chiudiamo i rubinetti. Mi sono ritrovato a dover ripartire da zero con una famiglia sulle spalle. Oggi faccio il consulente per il terzo settore e l’enogastronomia. Non ho rimpianti (…) L’amarezza più grande legata a San Patrignano? Il giorno in cui mia mamma e io andammo a prendere le spoglie di mio padre per portarle via da lì. Un’amarezza? Un dolore enorme”.

“Chi era mio padre? Una montagna di uomo, con due mani grandi e degli abbracci che ti inghiottivano. Considerava tutti i ragazzi che soffrivano parte della sua famiglia, li chiamava i miei figli. Io ero uno di loro”, conclude.

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