Filippo La Mantia pensa alla ripartenza: "Non ci saranno più locali pieni ma si vivrà in fila" - Perizona Magazine

Filippo La Mantia pensa alla ripartenza: “Non ci saranno più locali pieni ma si vivrà in fila”

Daniela Vitello

Filippo La Mantia pensa alla ripartenza: “Non ci saranno più locali pieni ma si vivrà in fila”

| 25/04/2020

Nell’attesa di riaprire le proprie attività, i ristoratori italiani pensano alla ripartenza e valutano ipotesi per salvaguardare la propria salute […]

Nell’attesa di riaprire le proprie attività, i ristoratori italiani pensano alla ripartenza e valutano ipotesi per salvaguardare la propria salute e quella dei propri avventori. Tra questi c’è anche Filippo La Mantia, il cuoco palermitano trapiantato a Milano.

“La domanda che mi faccio tutti i giorni, almeno 30 volte al giorno è come ripartirà la ristorazione – svela in un’intervista all’Adnkronos – Non c’è ancora una previsione di apertura per la categoria ristoranti e bar, saremo gli ultimi a ripartire e seguiremo tutte le indicazioni che ci verranno date ma che però, al momento, non ci sono. Non ci sarà più il contatto reale, questo è sicuro. Nel cibo c’è un rapporto intimo con il cliente, quando riapriremo sarà tutto distaccato, probabilmente saremo divisi da pannelli. Le tazzine del caffè saranno di carta, credo, così come i bicchieri, ci saranno delle precauzioni alle quali dovremo abituarci. Non ci saranno più locali pieni ma si vivrà in fila, a turni. I rapporti saranno distaccati”.

La Mantia parla poi del suo caso specifico, ovvero del ristorante da lui aperto cinque anni fa nel capoluogo lombardo. “Io ho una struttura di duemila metri quadri con 35 dipendenti, ora tutti in cassa integrazione – spiega – E’ ovvio che prima della pandemia poteva esistere perché, come tanti miei colleghi, lavoravo tantissimo. Ma non so se quando si riaprirà potrò mantenere ancora questo posto con un calo obbligatorio almeno del 50% di utenza. Dovrò spalmare tutto per la cubatura del locale. La sera facevo 130 coperti, adesso se si riaprirà avremo 60 persone spalmate in un’area molto grande”.

“Con tutto il rispetto per i miei colleghi ero in un periodo straordinario – aggiunge – Sai quando consolidi un progetto nel quale hai investito fino all’ultimo euro in tasca? Ecco, io ci avevo creduto e dopo 5 anni stava funzionando molto bene, è stato un peccato mortale. Una delle cose più allucinanti è stata mettere in cassa integrazione tutti i ragazzi. Ho creato una chat nella quale ci parliamo e aggiorniamo, alcuni cuochi vengono in ristorante a turno per produrre per il delivery e l’ospedale Niguarda, a Milano. I camerieri e la reception, invece, sono tutti a casa”.

Il cuoco siciliano spiega come immagina il suo locale: “Saranno i ragazzi in sala a ricevere per la prima volta chi metterà piede nel locale. Attraverso la ricezione dovremo assicurare comfort e altruismo al 100 per cento. Tutti indosseranno guanti e mascherina, è scontato, faranno parte della divisa del personale. Mi sto già informando per delle colonnine di disinfettante. Io ho sempre avuto una cucina molto ‘casa’, non ho nulla da ripensare in quel senso. Da un mese e mezzo pubblico tutte le mattine le mie ricette online, la gente le rifà a casa, mi mandano foto e messaggi, sto cercando di mantenere un rapporto con tutti, per me è fondamentale. Il mio ristorante appartiene a loro, ai clienti. Sono sicuro che torneranno ma devo riprogettare totalmente l’accoglienza. A pranzo non ci sarà più il buffet ma dovrò allestire un bar pieno di cibo da asporto, che era anche un po’ il mio sogno. Al banco ci saranno prodotti da portare a casa, in ufficio o da mangiare fuori. Giocherò molto sul fatto di dare alla gente cibo da gestire da sé”. Per la cena, invece, il menu resterà invariato.

Da un mese a questa parte, La Mantia ha attivato la consegna a domicilio. Ad essere maggiormente richiesti “sono due o tre piatti, oltre ai sughi pronti, che prepariamo tutte le mattine e la pasta nel sacchetto. Gettonatissime le arancine, la caponata e la cassata col cannolo. La gente con questi prodotti si sente in vacanza”.

Il cuoco palermitano, che vive a Milano con la compagna-foodblogger Chiara Maci, il loro bambino e la figlia di lei, ha nostalgia della sua terra d’origine e della sua primogenita che vive nella Capitale. “Mi manca tantissimo la mia Sicilia – ammette – Lì vive mia madre che non posso andare a trovare e questo mi squarcia il cuore. Per me la Sicilia è vacanza, libertà, mare, motocicletta. Mi manca anche mia figlia, che vive a Roma. A Palermo, inoltre, stavo iniziando a curare l’apertura di un albergo del 1800 ma lo riprenderò appena sarà possibile”.

La Mantia ha le idee chiare sul futuro della ristorazione. “Ora non ci sono più chef stellati, cuochi, rosticceri o baristi – spiega – Questa pandemia è una grande disgrazia che ha azzerato tutto. Non si può più parlare al singolare ma al plurale. Se la nostra categoria andrà avanti dovremo modificare la nostra vita ancora una volta per le persone che vengono dai noi perché hanno bisogno di trovare comfort. Sia un bar, un ristorante stellato, un hotel di lusso o un chiringuito, poco cambia. Non c’è più differenza, siamo tutti sulla stessa barca”.

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