Roberto Vecchioni: "Mio figlio? Ecco cosa non mi perdonerò mai"

Roberto Vecchioni: “Non mi perdono di aver messo la mia vita davanti a quella di mio figlio”

Germana Bevilacqua

Roberto Vecchioni: “Non mi perdono di aver messo la mia vita davanti a quella di mio figlio”

| 07/04/2024
Roberto Vecchioni: “Non mi perdono di aver messo la mia vita davanti a quella di mio figlio”

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“Tra il silenzio e il tuono” non è solo il titolo di un brano di Roberto Vecchioni, ma anche quello del suo ultimo libro dove il cantautore è un uomo che sogna e rincorre il tempo, si confessa, ride e si dispera. “Il tuono è corpo, materia, vita vissuta – spiega in un’intervista al ‘Corriere della Sera’- il tuono è tempo, divenire, laddove il silenzio è punto immobile. Il tuono è in quel che fai o ti fanno: è il su e giù, l’illusorietà rumorosa e traballante di gioie e dolori”. “Il silenzio è la dimensione, lo spazio e il giardino dei sentieri che si biforcano- continua -. È il pavimento in cui il nonno si distende per vedere intersecarsi, come giochi sul muro, le infinite cose che ama”. Da “Chiamami ancora amore” a “Sogna, ragazzo, sogna”. “Che cosa le unisce o le divide? Un interminabile giorno di sole, ora più alto, ora tenue o pallido, ora nascosto da fastidiose nuvole, ma presente sempre: è la fede, è la speranza nell’umanità. L’umanità intera ha davanti a sé un interminabile cammino. Mi fanno ridere verbi come vincere o perdere, che sono voli di una mosca: Chiamami amore è per sempre, così come “sogna ragazzo”…”.

Poi aggiunge: “Nessuno, ma proprio nessuno può sapere quale tra le mie trecento canzoni io ami di più, è una canzone totale, vale per tutta l’umanità, si chiama: Storia e Leggenda del Lanciatore…”.

Roberto Vecchioni e Alfa (Foto Instagram)

“Con i giovani il segreto è ascoltare e deviare da quella retta parallela che ci tiene aggrappati a certezze testarde”

Nel libro un nonno, un padre e un figlio, si passano come eredità il senso del vivere – racconta Roberto Vecchioni -. È lanciare coltelli per colpire le stelle e illuminare l’universo. Sono coltelli simbolici e stanno per sogni, desideri, speranze, fedi, slanci d’amore, risate e abbracci. Quando li hai lanciati tutti, beh, allora senti che sei solo. Ma non crederci, continua a lanciarli”. Il suo rapporto con i giovani ha sempre influenzato la sua vita e le sue canzoni, con loro si approccia così: “Ascoltare, ascoltare, ascoltare, deviare da quella retta parallela che ci tiene aggrappati a certezze testarde, intendere i loro codici, frugando fra le loro letture, musiche, slang, capire perfino senza condividere, risparmiargli verità assolute e confrontarci su quelle relative. Si dialoga insinuando, suggerendo, infilando qua e là nelle piccole fessure del loro animo la straordinaria grandezza dell’avventura umana, del faticoso percorso di arte e logica che gli hanno permesso questa libertà di definirsi: la cultura senza cesure, la cultura come flusso continuo…”.
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Roberto Vecchioni e Big Mama (Foto Instagram)

“Il vero grande miracolo è che Dio non interviene mai, ha giurato di lasciarci liberi e così fa”

Roberto Vecchioni parla anche del dolore per la perdita del figlio Arrigo. “Nel libro, quando ne ho parlato, l’ho fatto volutamente sotto metafora. Quella dell’ultimo autovelox, quella della penna piantata nel suo cuore e addirittura quella del dolore espresso non da me, ma dalle cose intorno in quella buia notte: le piastrelle dell’ospedale, i neon, gli insetti. Ma il dolore più grande sta sempre nel rimorso, quello di aver messo la mia vita davanti alla sua. Non passa, non mi passerà mai”. Poi affronta anche il rapporto con Dio, onnipresente, ma anche sordo: “Questa è una boutade, in fondo credo che ascolti, eccome che ascolti. Il vero grande miracolo è che Dio non interviene mai, ha giurato di lasciarci liberi e così fa, ma la tensione che abbiamo verso di lui è immensa, la vera preghiera non è quella per esigere ma proprio quella per ascoltarci e basta: noi siamo qui, noi siamo uomini, grandi nelle nostre miserie, ricordati che siamo qui”.

Roberto Vecchioni (Foto da video)

“Con mia moglie abbiamo oltrepassato tante tempeste: c’è un piccolo segreto tra noi”

Al centro della vita dell’artista ci sono i figli, ma prima ancora la moglie Daria alla quale è legato da quarant’anni. “Ogni amore è diverso, la mia e di Daria è una casa forte, solida, incurante alle confluenze di bene e male – confida – Ci teniamo le mani sull’orlo di questa voragine che è la vita, tentando di vederla come una collina fiorita. Ogni tanto uno inciampa e l’altro lo solleva; Ogni tanto di notte (ci sono notti così) non leggiamo bene i nostri contorni, eppure di tempeste ne abbiamo oltrepassate tante. C’è un piccolo segreto tra noi: nei periodi in cui uno di noi due è più forte deve, soprattutto nelle cose più piccole, dare ragione all’altro. Confesso che io ho contravvenuto spesso alla regola. Lei mai”. “Del destino non mi frega più niente – ammette –  ‘Samarcanda’ non la scriverei come ieri, cambierei il finale, magari non farei trovare quella nera signora… Noi siamo più forti del destino. Nella vita si può lottare, pezzo per pezzo… E anche vincere”.

Roberto Vecchioni (Foto Instagram)

“A ottant’anni puoi perfino immaginarti di non morire mai”

“A ottant’anni puoi permetterti di dire tutto quel che vuoi – afferma il cantautore – anche indegne pu**anate. Puoi litigare e far pace nel giro di dieci minuti, puoi abbracciare dieci ragazze fuori da ogni sospetto (c’è chi va più in là, io no), puoi dimenticare o far finta di dimenticare, raccontar balle o chiedere un mare di favori, puoi perfino immaginarti di non morire mai, di veder crescere fino a tre metri l’ulivo che hai appena piantato”. “Il nonno del mio libro – spiega ancora il cantautore – è la mia coscienza, la mia anima. È immutabile, eterno, immobile nel tempo. Lui non mangia, non beve, non cammina, non dorme. Lui pensa e sogna. E naturalmente ama”.

“C’è ancora la Milano di ‘Luci a San Siro’?”. “Non ha nessuna importanza che le cose, le tue cose, spariscano. La mia Milano è qui, al mio invecchiare si è fatta giovane, ma non mi ingannano né le case né le vie, non mi inganna quest’altra gente. San Siro è una regione del ricordo, che si mitizza dentro di me. Allora era l’amore e l’armonia con tutto, era speranza e l’attesa che i sogni sbocciassero per non finire mai”. “Oggi l’unica indelebile traccia che mi porto dentro di Milano è la sua anima”, conclude.

Pubblicato il 07/04/2024 11:47

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