Patrick Zaki: "In carcere, mi hanno applicato gli elettrodi e..."

Patrick Zaki e la detenzione in Egitto: “Mi hanno applicato gli elettrodi e dato scariche elettriche”

Daniela Vitello

Patrick Zaki e la detenzione in Egitto: “Mi hanno applicato gli elettrodi e dato scariche elettriche”

| 16/10/2023
Patrick Zaki e la detenzione in Egitto: “Mi hanno applicato gli elettrodi e dato scariche elettriche”

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Patrick Zaki, autore del libro “Sogni e illusioni di libertà” edito dalla Nave di Teseo, racconta i due anni trascorsi ingiustamente le carceri egiziane in un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”. Il giovane attivista fu arrestato al suo ritorno in Egitto dall’Italia. “Mi aspettavano all’aeroporto del Cairo da due giorni – svela – Mi hanno strappato il permesso per l’Italia, mi hanno rotto gli occhiali. Mi hanno insultato. E hanno iniziato a picchiarmi. Calci, pugni, botte sulla schiena. E minacce: ‘Non uscirai fuori di qui’, ‘non vedrai mai più la luce del sole’. Io sono rimasto concentrato. Sapevo come comportarmi: non dovevo mostrarmi debole. Se li facevo arrabbiare, meglio. Se capivano che avevo paura, era la fine”.

Patrick Zaki con la moglie Reny Iskander (Foto Instagram)

“Mi hanno bendato, ammanettato, caricato su un furgone e portato in carcere”

Patrick Zaki descrive così gli interrogatori, tutti molto brevi, a cui fu sottoposto: “Ti sballottano di continuo dentro e fuori la cella; e in ogni cella c’è sempre una spia della polizia. Le domande sono sempre le stesse: davvero vuoi farci credere che eri a Bologna solo per un master? Perché parli male dell’Egitto? Poi ti mostrano le foto degli oppositori del regime: li conosci? Vogliono sfiancarti. Per questo rispondevo a monosillabi. Mi hanno bendato, ammanettato, caricato su un furgone. Essere bendati, non avere il controllo del proprio corpo, è terribile. Dagli odori ho capito che mi portavano nel carcere di Mansura, la mia città. Lì c’erano il poliziotto buono e il poliziotto cattivo, che mi ha fatto togliere i vestiti, dicendo: ‘Patrick difende i gay, dobbiamo portargli qualcuno che se lo inc*li’”.

Patrick Zaki (Foto Instagram)

“Mi facevano in faccia il verso del maiale per manifestare disprezzo”

L’attivista racconta le torture subite durante la lunga detenzione: “Mi hanno messo un adesivo sulla pancia, non capivo perché. Poi, quando mi hanno applicato gli elettrodi, ho realizzato che serviva a nascondere i segni delle scariche elettriche. Come sono? Terribili. Ma quelli sono professionisti. Sono attenti a non lasciare tracce sui corpi. Sono scomparso per un giorno e mezzo, senza che i miei genitori che erano venuti a prendermi all’aeroporto sapessero nulla. C’era anche Reny, la donna che amo e ora è mia moglie, ma non conosceva ancora i miei, avrei dovuto presentarli… I poliziotti mi facevano in faccia il verso del maiale, come si usa da noi per manifestare disprezzo. Ma la cosa che mi ha fatto più male è un’altra. Il ragazzo che portava i caffè mi ha dato una gran botta sulla schiena con il vassoio. Ancora mi chiedo perché lo abbia fatto. Non era un poliziotto. Non gli avevo fatto nulla di male. Se un giorno in Egitto faremo la rivoluzione, cercherò quell’uomo solo per chiedergli il perché”.

Patrick Zaki con la moglie Reny Iskander (Foto Instagram)

“Quando Macron e Scarlett Johansson fecero il mio nome, mi chiedevano pure i selfie”

Ma gli orrori vissuti in prigione non sono finiti. “Mi hanno chiuso in una cella con 52 persone – ricorda Patrick Zaki – Tra loro c’erano due ragazzini, colpevoli solo di aver girato un video ironico su Maometto; altri ragazzi, musulmani, li avevano scoperti e denunciati. C’erano anche i parenti di un uomo che aveva picchiato la moglie, i cui familiari erano nella cella di fronte: era una rissa continua (…) Quando però hanno visto che in Italia ci si mobilitava per me, hanno pensato: questo ragazzo per l’Italia è importante. E il mio caso è diventato un modo per fare pressione sul vostro Paese nel caso Regeni. In prigione mi chiamavano il ragazzo italiano (…) Poi uscirono le mie foto sul giornale, e le guardie mi indicavano: quello è uno famoso! Quando Macron e Scarlett Johansson fecero il mio nome, mi chiedevano pure i selfie…”.
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Patrick Zaki (Foto Instagram)

“Ecco perchè ho rifiutato il volo di Stato per tornare in Italia”

Nonostante ciò, i soprusi sono continuati: “Mi hanno tagliato i capelli, e io non ho opposto resistenza, anche se i capelli sono una parte importante della mia identità (…) Poi mi portarono in un supercarcere, dove tutti avevano una divisa. Io avevo la divisa bianca, da detenuto in attesa di giudizio. I condannati avevano quella blu. I condannati a morte quella rossa. Una mattina alle sei vennero a portare via un prigioniero per l’esecuzione. Cominciò a urlare disperato. Non dimenticherò mai quelle grida”. Patrick Zaki ricorda che in carcere c’erano delle “gabbie per isolare i detenuti malati”. E poi ancora “la sedia del pianto”. “Quella l’aveva inventata uno di noi – spiega – Se un prigioniero crolla e vuol essere lasciato tranquillo, si siede a piangere, e nessuno può disturbarlo”. Condannato a tre anni, Patrick Zaki ha ricevuto la grazia. Nell’intervista ad Aldo Cazzullo, svela perchè ha rifiutato di tornare in Italia con il volo messo a disposizione dallo Stato: “Perché sono un attivista, e voglio essere libero di criticare qualsiasi governo (…) Ribadisco che sono grato all’Italia per quanto ha fatto per me”.

Pubblicato il 16/10/2023 13:17

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