Enrico Crippa, chef del tristellato Piazza Duomo di Alba, si racconta in un’intervista al quotidiano “La Repubblica”. I suoi piatti consentono di esplorare il mondo e suoi menu nascono “guardando la stagione, l’orto, i prodotti di fornitori e allevatori. E poi seguendo la mia filosofia di una cucina coreografica”. “A me piace che chi viene qui capisca subito dove si trova – spiega – I miei piatti sono diversi ma tutti bianchi, un foglio su cui disegnare. Ora ho tre menu: ‘Discover’ per chi ha meno tempo e vuole spendere meno, ‘Barolo’ tutto dedicato a questo grande vino, e ‘Il viaggio’, nato durante la pandemia per far viaggiare le persone con i sapori. Con il nero di seppia e la polenta bianca sei in Veneto, con il merluzzo con latte di cocco e basilico all’anice voli in Thailandia. Questo è il concetto, poi i piatti cambiano a seconda di stagionalità e disponibilità dei prodotti”.
“Noi chef siamo artisti degli artisti”
Il piatto più richiesto è “l’insalata composta da un centinaio di erbe e fiori”. “Ho provato a toglierla dal menu ma è stato impossibile – svela – Contiene tutte erbe coltivate nel nostro orto ma che fanno viaggiare: senapi giapponesi, origano messicano, foglioline di nepetella. Ad ogni pinzata il sapore ti trasporta ovunque, ma risveglia anche ricordi. Ed è lì che ricevi i complimenti più profondi. In cucina si cerca la madeleine di Proust (…) A volte percepisco tensione in una coppia quando entra e durante la cena mi pare di sentire che si stemperi. Magari all’uscita rilitigano eh, ma a me piace fantasticare, e pensare che una cena possa riallacciare i fili”. “A volte gli chef sono paragonati agli artisti – dice – E io penso che un cuoco sia uno che fa da mangiare, ma anche che siamo ancora più artisti degli artisti perché il nostro piatto è unico e il cliente, mangiandolo, può impossessarsene, entrarci dentro”.
“In cucina se fai un errore te lo faccio notare”
Infine, Enrico Crippa spiega perché, a suo dire, è importante che in cucina ognuno rispetti il suo ruolo e il capo mantenga le distanze dal personale usando “bastone e carota”: “Qui la faccia ce la metto io. E in un tre stelle non puoi sbagliare. Gli schiaffi e le pedate che ho preso io oggi giustamente non li dai ma se fai un errore te lo faccio notare. Quello che ripeto è: ‘L’ultima cosa che voglio fare è arrabbiarmi’. Ma puoi star sicuro che se ti faccio un ca**iatone è perché te lo sei meritato. E comunque ora mi arrabbio meno. Perché evidentemente sbagliamo meno. Ma anche la forma conta”.
“Mia nonna diceva che troppa confidenza fa perdere la riverenza”
“‘Ciao chef’, mi salutano a volte – aggiunge – Ciao a chi? Mia nonna diceva che troppa confidenza fa perdere la riverenza. Vero. Con il mio secondo ci conosciamo da una vita e magari fuori gli scappa di darmi del tu ma in cucina si torna al lei. Poi abbiamo bei momenti di condivisione, come la serata cassoeula che facciamo con tutta la brigata dopo la Fiera del tartufo. E se in un ristorante incontro uno di loro pago io la cena. Ma sul lavoro un po’ di distanza ci vuole. E poi queste forme di educazione sono troppo belle. Io se mia moglie al ristorante si alza, faccio il cenno di alzarmi. Una volta una signora di fianco a noi mi ha visto e lo ha fatto notare al marito”.