La moglie di Tortora attacca la giustizia italiana: "Il sacrificio del mio Enzo non è servito" - Perizona Magazine

La moglie di Tortora attacca la giustizia italiana: “Il sacrificio del mio Enzo non è servito”

Daniela Vitello

La moglie di Tortora attacca la giustizia italiana: “Il sacrificio del mio Enzo non è servito”

| 26/01/2021

A distanza di 32 anni dalla morte di Enzo Tortora, vittima di un clamoroso errore giudiziario, Francesca Scopelliti – vedova […]

A distanza di 32 anni dalla morte di Enzo Tortora, vittima di un clamoroso errore giudiziario, Francesca Scopelliti – vedova del celebre presentatore – usa parole dure nei confronti della giustizia italiana.

“Al cimitero monumentale di Milano, una colonna spezzata conserva le ceneri di Tortora con una epigrafe che non sia una illusione, una frase presa dal ricordo che Leonardo Sciascia fece sul Corriere della Sera – dichiara ad “Affari Italiani” – Un auspicio che invece è una realtà. Nulla è cambiato. Il sacrifico di Enzo Tortora non è servito. Anzi oggi viviamo un momento in cui le garanzie, le certezze giuridiche, il principio costituzionale sulla presunzione di non colpevolezza, sono quotidianamente calpestati. Complici, una classe politica che non vuole contrastare la magistratura e una stampa che ha in Marco Travaglio il suo indiscusso leader”.

Il conduttore di “Portobello”, tra i più amati della tv italiana, morì il 18 maggio 1988 a causa di un tumore ai polmoni. “Mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro”, disse Tortora quando scoprì di essere malato. Un anno prima la Cassazione aveva messo la parola fine ad un calvario giudiziario iniziato il 17 giugno 1983 quando era all’apice della sua carriera. Alle 4 di notte, i carabinieri bussano alla porta della sua stanza all’Hotel Plaza di Roma e lo arrestano con l’accusa di far parte della Nuova Camorra Organizzata e di essere un corriere della droga. Tortora viene trasferito nel carcere di Regina Coeli quando è mattina e così cameramen e fotografi hanno modo di riprenderlo con le manette ai polsi. Quell’immagine, ancora oggi, è una ferita per chi lo ha amato e stimato. Il 17 settembre 1985 il conduttore viene condannato a 10 anni di reclusione per associazione a delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. Sia in Appello che in Cassazione la sentenza viene ribaltata e Tortora viene assolto con formula piena. Il 20 febbraio 1987, torna a condurre “Portobello” aprendo il programma con una frase passata alla storia: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Poi la malattia e la morte sopraggiunta ad appena 59 anni.

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