Paola Turci in un libro: "Quell'incidente che mi cambiò la vita" - Perizona Magazine

Paola Turci in un libro: “Quell’incidente che mi cambiò la vita”

Daniela Vitello

Paola Turci in un libro: “Quell’incidente che mi cambiò la vita”

| 10/10/2014

Cinquantenne da meno di un mese, Paola Turci sbarca in libreria con un’autobiografia dal titolo “Mi amerò lo stesso“. La cantante passa in rassegna carriera e vita privata, toccando uno dei tasti più dolorosi della sua esistenza: l’incidente stradale nel quale ha rischiato la vita, dal quale è uscita provata nel corpo e nell’anima, ma che ha segnato l’inizio di un nuovo corso.

La mia vita è finita ed è ricominciata il 15 agosto del 1993 sulla Salerno-Reggio Calabria – racconta – Mi trovai costretta a guidare l’auto durante una tournée. Ero furibonda. Mi chino per spingere nel portasigari il cavo del caricabatteria del telefono e mi rendo conto di aver oltrepassato il guardrail”.

Il tachimetro segna centoventi chilometri all’ora – prosegue – Sterzo verso destra, ma il volante è di burro: in un attimo sono nella corsia di emergenza. Ho forse meno di un secondo per rendermi conto che da questo lato non c’è alcuna protezione. Abbastanza per pensare: ‘Rischio di finire nel fosso e, se ci finisco dentro, non arriverò mai a Salerno’. Controsterzo a sinistra. Se vado a sbattere da questa parte, infatti, è meglio, perché ammaccherò la macchina contro il guardrail, ma almeno potrò continuare il viaggio. No ABS, no airbag, no cintura di sicurezza. La macchina sta rallentando: sono sicura di fermarmi non appena tocco la barriera. Chiudo gli occhi. Una randellata all’altezza del sopracciglio destro, lo schianto del cofano che si accartoccia, il fracasso del parabrezza che si frantuma. Tengo le mani fisse sul volante: sono magra, mi sento fisicamente in grado di sopportare le botte e assecondare ogni movimento dell’auto. Prendo un sacco di colpi in ogni parte del corpo, ma sono invincibile. Lo stridio continuo del metallo che ha agganciato la fiancata mi assorda. Non so quanto tempo duri. Il rumore del botto scema. L’auto adesso è ferma. Dio, sento caldo. Sento freddo. Sento zampilli di sangue scorrere sul mio viso, continui e regolari. Mi sembra di essere una doccia da cui esce acqua. La bocca è piena di detriti: ‘Cazzo, i denti’. Passo la lingua sulle due arcate, ma per fortuna li ritrovo tutti al loro posto. Ho la bocca piena di vetri. No non sta succedendo a me. Io sto solo assistendo a una tragedia,  la vivo addosso. Tengo le mani immobili. Sputo i vetri uno per uno, con molta cautela. Ne sento uno conficcato in gola. ‘Stai calma, Paola’ mi dico. Questo è il momento peggiore. ‘No, Paola, non devi vomitare.’ Sono una fontanella, una pioggia torrenziale di sangue e ho il terrore di mettermi a vomitare. Se non associassi il vomito alla morte, forse scoppierei a ridere. Tossisco e riesco a sputare il vetro. Ora c’è silenzio, sento le cicale frinire. ‘Cosa mi sta succedendo?'”.

Alla paura della morte, mancata per un attimo, seguono la riabilitazione, le cicatrici, il terrore di guardarsi allo specchio, le sedute dall’analista. Fino all’equilibrio ritrovato, sfociato nel racconto di un’esperienza terribile da condividere con il suo pubblico.

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