Dall'adolescenza in Serbia al figlio perduto, Sinisa Mihajlovic: "Quanta vita ho vissuto" - Perizona Magazine

Dall’adolescenza in Serbia al figlio perduto, Sinisa Mihajlovic: “Quanta vita ho vissuto”

Daniela Vitello

Dall’adolescenza in Serbia al figlio perduto, Sinisa Mihajlovic: “Quanta vita ho vissuto”

| 26/08/2019

Lo scorso 20 febbraio, in occasione del suo 50esimo compleanno, Sinisa Mihajlovic si mise a nudo in una lunga intervista […]

Lo scorso 20 febbraio, in occasione del suo 50esimo compleanno, Sinisa Mihajlovic si mise a nudo in una lunga intervista a “La Gazzetta dello Sport”.

L’allenatore del Bologna non sapeva ancora che di lì a qualche mese si sarebbe ritrovato a combattere la battaglia più dura della sua vita, quella contro la leucemia.

Eppure, già allora, la sua vita “ne valeva almeno tre”. “L’adolescenza in Serbia, la carriera, l’Italia e le tante città, sei figli, la povertà, i successi, l’agiatezza. Ma anche due guerre, le ferite, le lacrime… Oggi se mi guardo indietro posso dirlo: Sinisa, quanta vita hai vissuto”, confidò.

“Io sono nato a Vukovar, per me era la città più bella del mondo – raccontò -Poi è diventato simbolo della guerra. Ci sono tornato due anni fa, dopo 25 anni… L’ultima volta era stata durante il conflitto nel 1991. Era tutto raso al suolo, non riuscivo neanche a orientarmi. A capire le vie. Solo scheletri di palazzi e macchine ammassate per creare trincee. Non volava un uccello, non c’era un cane. Spettrale. Ricordo lo sguardo di due ragazzini di 10 anni, imbracciavano i mitra. Avevano occhi da uomini in corpi da bambini. Occhi tristi che avevano già visto tutto, tranne l’infanzia. Uno dei due si è avvicinato, mi ha chiesto chi fossi. Penso spesso a quel bambino, sapere che fine ha fatto. Se la guerra non se l’è portato via, oggi è un uomo. Magari ha moglie e figli. Spero che quegli occhi diventati adulti abbiano ritrovato un po’ di luce”.

“Le guerre, tutte le guerre, fanno schifo. Ma quella fratricida che abbiamo vissuto noi nella ex Jugoslavia è quanto di peggio possa capitare – continuò – Amici che si sparavano tra loro, famiglie disgregate. Ho visto la mia gente cadere, le città distrutte: tutto spazzato via. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Mio zio, croato e fratello di mia madre, voleva «scannare come un porco», disse così, mio padre serbo. Fu trovato dalla tigre Arkan, stava per essere ucciso, gli trovarono addosso il mio numero di cellulare, gli salvai la vita. Del necrologio per Arkan, che conoscevo da prima della guerra, della mia condanna dei suoi crimini, di cosa rappresentava per i serbi in quel momento, ho detto già così tante volte… Dovranno passare due generazioni prima di poter giudicare cosa è accaduto. È stato devastante per tutti. Quello che racconto io, lo può raccontare anche un croato o un bosniaco. Abbiamo vissuto un impazzimento della storia”.

Mihajlovic parlò anche dei genitori: “Mio padre faceva il camionista è morto a 69 anni, di tumore ai polmoni – raccontò – Quando se n’è andato io non c’ero. Ci penso tutti i giorni. Durante la guerra lo imploravo di venire in Italia ma volle restare nel suo Paese. Vorrei potesse vedere come sono cresciuti i suoi nipoti. Quando si parla di sogni non penso ad alzare una Champions League o uno scudetto. Il mio è impossibile: poter riabbracciare mio padre. Mia madre invece mi guarda ancora con gli stessi occhi di quando ero bambino. Lei non parla l’italiano e i miei figli poco il serbo. Ma ogni volta che viene a trovarci a Roma e vedo come li guarda, capisco che l’amore non ha bisogno di parole”.

“Sono un uomo fortunato – concluse parlando della sua famiglia – Ho sei figli. Il primo, Marco, nato da un incontro quando arrivai a Roma. Mia moglie Arianna mi ha regalato 5 gioielli (Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nicholas), se oggi sono il mio orgoglio gran parte del merito è di mia moglie. Sono la mia forza, il senso di tutto. La carriera mi ha impedito di godermi appieno la crescita come avrei voluto. Al più piccolo, Nicholas, ho dato più attenzioni perché ero più adulto e non facevo più il calciatore. Ma il tempo passa in fretta. Non viene più nel lettone a dormire e quando vado a prenderlo a scuola non mi corre più incontro per abbracciarmi, ora inizia a vergognarsi. Poco più di un anno fa io e Arianna stavamo aspettando un altro figlio. Purtroppo la gravidanza si è interrotta. Avere un figlio a 50 anni, è un po’ come ricominciare, tornare giovani. Mia moglie ci soffre, lo so, lo vedo. Io nel dolore penso che forse abbiamo già avuto tutto come genitori. Forse un altro figlio sarebbe stato sfidare le leggi del tempo. Ma di notte prima di addormentarmi il pensiero corre sempre lì”.

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