Giulia Marrazzo è la figlia maggiore di Piero Marrazzo, il giornalista ed ex presidente della Regione Lazio che nel 2009 fu travolto da uno scandalo per essere stato sorpreso in compagnia di una prostituta transessuale in un appartamento di via Gradoli a Roma. Il giornalista fu vittima di un piano estorsivo da parte di 4 carabinieri infedeli, successivamente sospesi e condannati. Giulia Marrazzo all’epoca aveva 19 anni. Oggi è una giornalista, ha 35 anni e con il padre e le sorelle ha scritto un libro dal titolo “Storia senza eroi”. “Credo che il titolo del libro sia rivelatore – spiega Giulia Marrazzo in un’intervista a ‘La Repubblica’ – le categorie vittima e carnefice in questa vicenda non esistono. Non abbiamo mai visto nostro padre come carnefice, noi non siamo state le sue vittime. Da figlia per me quel giorno, ricordo che era un venerdì, fu il momento di amare nell’esserci. Se coraggio vuol dire non avere paura nel prendere le difese di un gran padre come è stato per me Piero Marrazzo, l’ho avuto. Ma le categorie che ci identificano non sono neanche completamente giuste: noi siamo fatti di sfumature”.
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La figlia di Piero Marrazzo: “È stata durissima, ci sono stati momenti di rabbia”
Giulia Marrazzo spiega di non avere mai avuto dubbi sul fatto di restare accanto al padre. “Non c’è stato da pensarci – sottolinea – non c’era da rifletterci, la sofferenza è stata quella di chi è sottoposta a un attacco violentissimo, ma io sono felice di esserci stata, quel giorno e nei giorni che sono seguiti. La rete in quel momento era meno presente nella vita di tutti, ma era già spietata, i commenti li sentivi anche nella vita di tutti i giorni, sono state dette molte falsità. Questo libro rimette in fila un po’ di cose, ma soprattutto cerca l’onestà intellettuale. Non facciamo le vittime, qualcosa non è andato, da figlie abbiamo percepito lo scatenarsi di un attacco verso nostro padre e noi”. Giulia Marrazzo ricorda quel periodo buio: “È stata durissima, un giorno ho avuto paura che mio papà fosse morto, perché la tata di mia sorella mi rispose al telefono singhiozzando. Ci sono stati momenti di rabbia, anche risposte più signorili, dipendeva dalla giornata e anche dal tono della conversazione”.
“Non abbiamo mai lasciato solo nostro padre, è quello che facciamo anche oggi”
La giornalista tiene a precisare: “Non mi sono mai nascosta, non mi sono chiusa in bagno a piangere, andavo a viso aperto ripetendo il mio cognome. C’era chi capiva e poi c’erano i maleducati. Ma io che avevo 19 anni, ero comunque la sorella più grande, dovevo difendermi, ho potuto farlo solo amando mio padre e le mie due sorelle. Siamo unite, non abbiamo avuto dubbi, pur non facendo sconti. Non abbiamo mai lasciato solo nostro padre, è quello che facciamo anche oggi. C’è un punto di protezione che a un certo momento arriva”. Giulia Marrazzo sottolinea come il linciaggio mediatico possa travolgere e distruggere la vita di intere famiglie: “Il giudizio sulle vite private e personali è il male. Io da cronista, lo sospendo sempre. Ognuno ha i propri occhi, un osservatore può dire la sua, ma generalizzare è sbagliato, il giudizio può davvero travolgere le persone. Posso dire, per esserci passata, che dietro ai titoli dei giornali ci sono vite, nomi, cognomi”.
“Nessuno deve più sentirsi solo, il giudizio degli altri non ci identifica”
La sua è una battaglia che porta avanti da donna, giornalista e vittima della violenza mediatica: “Mi rivolgo a chi subisce attacchi violenti: nessuno deve più sentirsi solo, il giudizio degli altri non ci identifica, non bisogna lasciarsi schiacciare da quel peso. Capita di finire sotto tiro per molti motivi diversi a giovanissimi, donne, membri della comunità Lgbtq. A chi scaglia la prima pietra vorrei far arrivare le mie parole”. Giulia Marrazzo ha scelto la strada del giornalismo come il padre e il nonno. “Sono ancora precaria – ammette – ma guidata da una grande passione, credo che sia il mestiere più bello del mondo e la definizione che vorrei per me è: che brava cronista”.
“Aver visto l’altra faccia della medaglia, essere stata dall’altra parte della barricata, mi ha fatto capire come voglio fare questo mestiere, che tipo di giornalista e di persona voglio diventare. Quella che mette le verità in fila”, conclude.