La Rappresentante di Lista, duo musicale composto da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, è tornata con un nuovo disco dal titolo “Giorni felici” contenente un messaggio ben preciso sulla catastrofe verso cui va il mondo ma il Festival di Sanremo può attendere. Il duo rivendica il valore politico delle proprie canzoni e lo spiega in un’intervista rilasciata a “Today”: “Noi siamo quelli che dicevano ‘la mia natura è resistere’. È chiaro che cantando una frase del genere ci si assume una responsabilità. Poi per certe battaglie, per certi atteggiamenti, per certe cose in cui crediamo c’è sempre spazio: si può benissimo resistere nella vita quotidiana, sul lavoro, in amore; non serve pensare alla politica”. Degli ultimi due anni dicono: “Sono stati di assestamento. L’esposizione di Sanremo ce la siamo cercata, senza pensare però che potesse arrivare così in alto. Il che ha causato delle difficoltà, ma ci ha dato anche la possibilità di prenderci del tempo, investire in studi di registrazione, più musicisti e il resto, che è la base di ‘Giorni felici’”.
La Rappresentante di Lista: “Quando si è nel giro di Sanremo, la musica diventa un 15% del tutto”
Il loro approccio con il successo che li ha travolti è controtendenza: “Chiaramente l’opzione di ripetere per altre dieci volte ‘Ciao ciao’ sarebbe stata la più semplice, ma non faceva per noi. Non ci siamo mai sentiti prigionieri di quel tipo di successo, anzi. Fa parte di un percorso ampio, più che uno sviluppo, una crescita. Siamo in pace con quel brano, ci diverte suonarlo, ma siamo anche in pace con i nostri inizi come duo acustico, nell’underground. Non abbiamo tradito quella Rappresenta di Lista ed è la cosa più importante. Poi stare fermi ci ha dato la possibilità di vivere, raccogliere storie e in generale sintonizzarci con il mondo: quando si è nel vortice non è mai semplice. Ne è venuto fuori un disco molto coerente con i nostri esordi”. Poi rivelano: “Quando si è nel giro di Sanremo e il resto la musica diventa un 15% del tutto: c’è un discorso di comunicazione, immagine, rapporti da curare. Stavolta abbiamo rimesso le canzoni al centro”.
Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina giurano di essere rimasti quegli artisti nati nei centri sociali. “Per noi è più difficile guardarsi allo specchio senza aver detto ciò che pensiamo davvero – spiegano ancora – dopo esserci piegati a qualcosa con cui non andavamo d’accordo. Certo, un artista è libero di non esserlo. Noi però lo siamo. Se ci fermano i compagni dei centri sociali per proporci di andare a fare un dj-set a una loro serata, per una causa che condividiamo, andiamo senza problemi. E non è mai questione di strategia, di posizionamento”.
LEGGI ANCHE: “La Rappresentante di Lista e la “maledizione” contro Salvini: “Becero abusatore di hit”
La Rappresenta di Lista: “Nelle nostre canzoni non c’è niente di radiofonico”
‘La città addosso’, l’estratto di “Giorni felici”, è nella top 50 tra le canzoni più passate dalle radio. “Ci fa sorridere – commentano – Ci sono stati momenti in cui, con altri pezzi, eravamo addirittura in vetta. Il fatto è che nelle nostre canzoni non c’è niente di radiofonico, perlomeno inteso nel senso di oggi. Non lo sono a livello musicale, ma anche e soprattutto per temi, testi”. Poi rivelano: “Ci sono radio che ci passano volentieri: evidentemente c’è chi si è stufato di mettere le solite canzoni sul… niente. Ai nostri esordi, quelli che dicevamo prima, con cui siamo in pace, facevamo parte della scena indie, una scena con una forte vocazione alternativa. Oggi che si è mischiata con il pop crediamo che quella vocazione, per quanto dentro i confini del pop stesso, andrebbe ritrovata”.
Riguardo all’idea del titolo del singolo “Giorni felici” spiegano: “Ognuno può trovare ciò che vuole nel titolo. Anche noi. L’idea ci è venuta, tra gli altri, visitando una mostra a Palermo intitolata così, in cui una serie di oggetti venivano messi in acqua e lungo la durata della mostra si deperivano. Anche la musica, la nostra, è fatta di fasi. Poi ci piaceva l’idea di felicità: con un’espressione del genere, dove si collocano quei giorni? Nel passato, nel presente o nel futuro?. Magari non nel presente, ma ci piace immaginare che la felicità tornerà”.
“Basta andare in un quartiere popolare di Palermo, o di Roma, per rendersi conto dove sta il paese”
La Rappresentante di Lista è speranzosa riguardo all’attuale situazione nel mondo: “Diciamo che se ci guardiamo intorno, di motivi per esserlo, non è che ce ne siano molti, da guerre a crisi climatiche. Ma non bisogna perdere la speranza, che ci fa combattere. Altrimenti niente ha senso. Questo non vuol dire che sia facile, anzi. Ci vogliono ben più forza e coraggio a immaginarsi un futuro felice e a cominciare a metterlo in pratica, ora, che ad arrendersi al fatto che il futuro sarà una tragedia, mettendo like a un post su Instagram dove si dice che tutto fa schifo. Non funziona così”. Il duo parla di responsabilità che ha la musica pop oggi nei confronti della società per la visione del mondo e della vita che restituisce: “Gli artisti vanno al Pride in buona fede, non lo mettiamo in dubbio. E anche noi, se ci invitassero, lo faremmo, ma basta andare in un quartiere popolare di Palermo, o di Roma, per rendersi conto dove sta il paese. Bisogna pensare a una donna che di notte non torna a casa da sola perché c’è il rischio che la violentino, per capire. Il problema restano le canzoni”.
“In ‘Giorni felici’ ci sono pezzi che parlano di futuro, dell’ansia che ci prende tornando a casa, dopo l’aperitivo, e come tutti ci chiediamo dov’è che va la nostra vita, dov’è che va il mondo – continuano – Parlano di vuoto, tra gli altri, senza essere rassicuranti. Gran parte del pop, compreso quello inclusivo, non lo fa, anzi fa credere a chi l’ascolta che là fuori sia tutto ok”.
CLICCA E SEGUICI SU FACEBOOK
“Ogni volta che si canta una canzone s’istilla un pensiero in chi ascolta. È responsabilità”
“Ad esempio ‘Sesso e samba’: con tutto il rispetto per gli interpreti, tra cui Gaia che oltre a conoscere di persona sappiamo essere un’artista di grande spessore – aggiungono i due artisti – è un brano che è una pacca sulla spalla, che dice di non pensarci, che va tutto bene. Non è così. Ogni volta che si canta una canzone s’istilla un pensiero in chi ascolta. È responsabilità. Se pure domani cantassero ‘Sesso e samba’ al Pride, a Lampedusa tra i migranti, significherebbe poco o niente: è un pezzo che fa spegnere il cervello, non crediamo provi neanche a invertire certe tendenze”. “Con Sanremo è un capitolo chiuso al momento – fanno sapere -. Per noi non è mai stato un punto d’arrivo o di partenza, semmai una tappa ‒ bella, gratificante, impegnativa ‒ di un percorso ampio. Abbiamo declinato una proposta allettante. Due anni fa, per noi, aveva senso andare; oggi come oggi no”.