"Vieni da me", parla il papà single che ha adottato una bimba Down rifiutata da 30 famiglie - Perizona Magazine

“Vieni da me”, parla il papà single che ha adottato una bimba Down rifiutata da 30 famiglie

Daniela Vitello

“Vieni da me”, parla il papà single che ha adottato una bimba Down rifiutata da 30 famiglie

| 17/01/2020

Caterina Balivo ospita a “Vieni da me” Luca Trapanese, il single balzato agli onori della cronaca per avere adottato Alba, […]

Caterina Balivo ospita a “Vieni da me” Luca Trapanese, il single balzato agli onori della cronaca per avere adottato Alba, una bimba affetta dalla sindrome di Down. Nato 43 anni fa a Napoli, Luca coltiva da sempre la passione per il volontariato al quale ha dedicato la sua vita. Ha fondato associazioni e ha fatto progetti su progetti per i suoi ragazzi speciali convinto che il vero ostacolo sia la disabilità del cuore, non certo quella fisica.

Trapanese spiega alla conduttrice come e quando è nata la sua vocazione di aiutare il prossimo. “Probabilmente tutto quello che ho vissuto prima mi è servito per arrivare a mia figlia – racconta – A 14 anni e mezzo ho avuto un’esperienza molto forte. Sono stato vicino a Diego. Era il mio migliore amico e il mio compagno di giochi e di studi. Viene colpito da un melanoma, capisco che era una situazione grave e lo accompagno per tutto il decorso della malattia fino alla fine. Quest’esperienza molto intensa mi ha fatto capire tante cose e ha cambiato completamente il percorso della mia vita. Grazie a Diego ho conosciuto non solo la malattia ma anche la disabilità. Dalla malattia o guarisci o muori. Chi nasce disabile non è malato. Alba per esempio è una bambina con una difficoltà ma non è malata. Potrà campare 100 anni se Dio vorrà. Grazie a Diego sono stato tantissimo a contatto con le persone disabili. Si creano rapporti unici. I miei più grandi amici sono quelli conosciuti sul treno bianco per Lourdes”.

A quell’epoca Luca studiava per diventare prete ma poi accade qualcosa che gli stravolge letteralmente la vita. “La mia storia d’amore più bella è nata sul treno bianco – svela – Io ero in seminario perché avevo immaginato che il mio percorso fosse quello di dedicarmi completamente agli altri, quindi diventare sacerdote. Continuavo a fare volontariato e ad andare a Lourdes. Sul treno bianco ho incontrato quello che è stato il mio compagno per 12 anni. Anche lui era lì per fare volontariato. Ci siamo innamorati, io ho lasciato il seminario e ho iniziato questa vita molto bella, molto intensa, da cui sono nate anche tante attività volte al sociale. Poi le storie finiscono ma restano tante cose belle. Grazie a questa storia io sono cambiato e migliorato”.

Nel frattempo, Luca si fa anche adottare da una mamma preoccupata per il futuro del figlio disabile. “Undici anni fa – ricorda – conosco Florinda, mamma di Francesco, un mio quasi coetaneo affetto da un ritardo. Florinda si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lui alla sua morte. Era figlio unico, era stato adottato. La legge italiana mi ha consentito di essere adottato da Florinda, di non perdere i diritti e i doveri nei confronti dei miei genitori che amo e di diventare fratello di Francesco. Poi è arrivata Alba che ha due nonne, gli zii. Io dico che siamo una vera famiglia disabile, originale”.

Luca coltivava da sempre il sogno di diventare padre. “Sono convinto che il desiderio di paternità sia al pari di quello di maternità – dice – Ci sono genitori nati per essere genitori e genitori che magari non sono proprio all’altezza. Io sentivo forte questo desiderio, mi mancava qualcosa nella vita. Avevo anche la consapevolezza di poter essere padre di un figlio disabile per la mia esperienza di vita, per la mia capacità di vedere nella disabilità non una sconfitta ma un’opportunità. A un certo punto mi sono detto ‘lo faccio da solo’. Sono andato al tribunale di Napoli dove ho fatto una richiesta ampissima dando al tribunale la possibilità di affidarmi qualunque tipo di caso. Ho aspettato pochissimo. A luglio del 2017 mi chiamano  e mi dicono che c’era una neonata con la sindrome di Down. Alba è stata lasciata in ospedale dalla madre. A me non piace dire abbandonata. La madre di Alba ha fatto un gesto di grande coraggio, di dignità e soprattutto di civiltà. E’ un gesto d’amore regolarizzato. Le donne possono partorire e poi lasciare il proprio figlio in ospedale e per sempre ci sarà l’anonimato. Alba non riusciva a trovare collocazione nelle famiglie tradizionali che avevano l’idoneità all’adozione. Anche qui non mi sento di giudicare queste coppie. Prima di me ne hanno chiamate trenta. Oggi dobbiamo interrogarci sul perché Alba abbia avuto tanti ‘no’. La disabilità spaventa, c’è molta solitudine. Se hai un figlio disabile vieni visto come uno sfigato, uno sfortunato. La società è molto impreparata. Nella vita ci sono delle imperfezioni e bisogna preparare ed educare le persone a questo. Per me l’imperfezione rende Alba ancora più bella”.

“Quando l’ho avuta tra le braccia per la prima volta – confida – credo di aver provato quello che provano tutti i genitori: un grande senso di responsabilità, di felicità ma anche di pesantezza. E’ una vita che dipende da te e tu avrai sempre una responsabilità nella sua crescita, nella sua educazione, nel suo benessere. Alba mi ha riempito la vita. Da subito. Siamo partiti con un affido che poi si è trasformato in un affido preadottivo e infine, esattamente nel giorno del compleanno di Alba, il tribunale ci ha inviato il decreto di adozione a casa. Io sono il suo papà, sono la sua famiglia, io e lei siamo una famiglia a tutti gli effetti”.

Infine, Luca parla del suo status di papà single e di come immagina il futuro di sua figlia: “Anche gli uomini possono fare da mamma e da papà. L’importante è organizzarsi, c’è una tata che mi aiuta perché lavoro, ci sono i nonni. Alba ha stravolto la vita di tutti, dei nonni, degli zii, dei cugini. Ha ‘fregato’ anche quelli che avevano paura della sindrome di Down. E’ una bambina che ti prende, un’ammaliatrice. Ama Raffaella Carrà. Non ci annoiamo mai. E’ importante far capire che la sindrome di Down è un’opportunità e che Alba deve essere vista come una persona e non attraverso la sua sindrome. Mi auguro che da adulta venga accolta dalla società come Alba. E’ importante che la società veda le persone disabili come persone da inserire, accogliere, accompagnare. Alba non è solo figlia mia. Io posso educarla e crescerla nel migliore dei modi ma se poi la società la vedrà come un’handicappata avrò fatto un lavoro inutile. Se invece la vedrà come una risorsa, allora sarà figlia anche degli altri (…) Quando un giorno Alba mi chiederà della madre le dirò la verità, che la madre l’ha amata così tanto da lasciarla in ospedale perché sapeva che sarei andato io a prenderla”.

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