La trappola, le fiamme e il dolore. Valentina Pitzalis: "Chiedevo al mio ex marito di finire l'opera" - Perizona Magazine

La trappola, le fiamme e il dolore. Valentina Pitzalis: “Chiedevo al mio ex marito di finire l’opera”

Daniela Vitello

La trappola, le fiamme e il dolore. Valentina Pitzalis: “Chiedevo al mio ex marito di finire l’opera”

| 22/11/2020

Tra gli ospiti della puntata di “Verissimo” dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne c’è Valentina Pitzalis, vittima di […]

Tra gli ospiti della puntata di “Verissimo” dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne c’è Valentina Pitzalis, vittima di un cruento tentato femminicidio. La donna è stata sfregiata col cherosene dall’ex marito Manuel Piredda che ha perso la vita nel tentativo di darle fuoco.

La storia di un matrimonio diventato un incubo

È il 4 marzo del 2006 quando, dopo soli tre mesi di fidanzamento, Valentina Pitzalis sposa Manuel Piredda. Valentina è giovanissima, ha il cuore pieno di progetti e speranze ma non può immaginare quello che la aspetta: un marito ossessivo, geloso, dipendente da psicofarmaci che le impedisce di avere una vita fuori dalla loro relazione. Valentina non può lavorare, non può stare al telefono, non può uscire con gli amici. Nel 2010 trova la forza di lasciarlo. Inizia a vivere, si diploma e lavora come barista ma, nonostante tutto, come spesso accade in certi legami tossici, non riesce a troncare definitivamente quella relazione. Nell’aprile del 2011, a cinque anni dal sì, la vita di Valentina cambia per sempre. Manuel la convince a passare da casa sua con una scusa, lei entra e lui le dà fuoco. Il marito muore soffocato dal fumo mentre Valentina sopravvive ma porterà per sempre sul corpo e nell’anima i segni di quelle fiamme.

“Il giorno in cui Manuel mi ha messo la fede al dito sono diventata una sua proprietà”

“Inutile dire quanto sia difficile sopravvivere, guardarsi allo specchio ogni giorno e non riconoscere più la propria immagine – spiega Valentina Pitzalis nel salotto di “Verissimo” – A farmi più male, oltre a perdere le mie sembianze, è stato perdere la mia autosufficienza. Purtroppo ho perso la mia mano sinistra che hanno dovuto amputare. La destra doveva fare la stessa fine ma, grazie a medici fantastici, sono riuscita a mantenerla. Però sono diventata invalida al 100%. Avevo uno spirito libero, indipendente e a 27 anni mi sono ritrovata con una vita stravolta e un matrimonio che è andato nel peggiore dei modi. Durante il mio matrimonio ho vissuto una violenza di tipo psicologico e non ho saputo riconoscere i campanelli d’allarme. Il giorno in cui Manuel mi ha messo la fede al dito sono diventata una sua proprietà. Gli dicevo di andare da uno psichiatra per curare la sua gelosia morbosa. Questo tipo di rapporti sono sempre sbagliati e con l’amore non hanno nulla a che fare perché l’amore non è possesso. Io mi considero un monito, non un esempio, e ho avuto una grande fortuna che molte altre non hanno, quella di sopravvivere. Però mi è stata fatta una colpa del fatto che io sia sopravvissuta. In più la mia colpa più grande è stata aver osato di scrivere un libro per raccontare quello che mi era successo, invece che rinchiudermi a casa a piangermi addosso e non farmi più vedere da nessuno. Diciamo che non ho seguito il manuale della vittima perfetta. Hanno provato in tanti modi a farmi sentire sbagliata. Io ho lottato per sei mesi in ospedale, subivo un intervento dopo l’altro”.

L’agguato, le fiamme e l’inizio dell’inferno: “Chiedevo a Manuel di finire l’opera”

“Ad un certo punto Manuel ha iniziato ad abusare di psicofarmaci e si è scollegato totalmente dalla realtà – ricorda Valentina – La cosa più grave è che, nonostante tutto quello che subivo, ancora gli volevo bene e lo aiutavo. Quando mi ha teso l’agguato, l’avevo lasciato da circa un anno ma legalmente eravamo ancora sposati perché lui non voleva firmare le carte della separazione. Aveva premeditato di uccidermi. Mi ha gettato del liquido infiammabile addosso e mi ha dato fuoco. Non trovo le parole per descrivere il male che si prova fisicamente e anche psicologicamente. Non ho mai perso i sensi, speravo di morire perché faceva troppo male. A un certo punto mi sono buttata a terra e ho iniziato a battere i piedi e a chiedere aiuto. Per fortuna i vicini mi hanno sentito e hanno chiamato i soccorsi che sono arrivati nel giro di 20 minuti. Per 20 minuti nessuno mi ha spento e ho respirato la mia essenza che andava a fuoco. Piangevo, mi disperavo, chiamavo Manuel per chiedergli di venire a finire l’opera ma lui non rispondeva. Credevo fosse scappato. Quando sono arrivati i soccorsi hanno detto che c’era un cadavere. In ospedale mi hanno messo in coma farmacologico e da lì è iniziata la seconda parte dell’inferno”.

La rinascita di Valentina

“Ho perso tante cose ma nella sfortuna sono stata fortunata perché sono sopravvissuta e non ho perso il sorriso – confessa la Pitzalis – Ho deciso di non mollare anche se all’inizio scongiuravo i medici di ammazzarmi, facevo loro una colpa del fatto che mi avessero salvato. Uscita dall’ospedale ho dovuto scontrarmi con l’insensibilità, la cattiveria, il pregiudizio, gli sguardi, le battute, le prese in giro, genitori che coprivano gli occhi ai figli per non farli spaventare alla mia vista. Ho pianto tanto ma poi ho capito che anche tutte le lacrime del mondo non avrebbero potuto restituirmi quello che non c’era più e che provare rancore e odio e rifiutare la vita non mi avrebbe portato niente di bello. Io ho perdonato Manuel, per me ha pagato con la sua stessa vita quello che ha fatto. Ho perdonato la persona ma non perdonerò mai il gesto perché è ingiustificabile”.

Per i genitori di Manuel è lei la carnefice

Parallelamente al suo dramma, Valentina Pitzalis ha dovuto affrontare un altro calvario. La famiglia di Manuel l’ha infatti accusata di essere stata lei ad ucciderlo. “Gli ultimi nove anni sono stati all’insegna di una campagna d’odio e di diffamazione pazzesca, sul web, a mezzo stampa, sui social – svela la donna – Una campagna d’odio ferocissima da parte dei genitori che sostengono che sia io la reale carnefice e che io abbia ucciso il figlio. Hanno provato varie volte a far riaprire l’inchiesta che è stata chiusa per morte del colpevole perché era tutto molto chiaro. Hanno provato per due volte, non gli è andata bene perché ovviamente non c’era nessun elemento. Una terza volta sono riusciti a far aprire di nuovo un’indagine contro di me e quindi mi sono trovata indagata dal 2017 per omicidio volontario, incendio doloso e istigazione al suicidio. Mi sono portata dietro questa spada di Damocle per tre anni. Per sei lunghi mesi hanno intercettato me e la mia famiglia, hanno messo le cimici nelle macchine, hanno fatto l’autopsia. Come l’ho vissuta? Ho sempre avuto fiducia nella giustizia e sapevo che non avevo niente da temere ma è stata l’ennesima violenza da parte di chi in realtà doveva tutelarmi. Invece sono finita sotto la lente d’ingrandimento della giustizia e in più la diffamazione continuava. La giustizia non metteva un punto e questi leoni da tastiera si sentivano in diritto di minacciarmi di morte, di scrivermi cose orribili e augurarmi la morte. Mi dicevano ‘Devi finire di bruciare’, ‘Sei una strega’, ‘Si vede dalla faccia che è colpa tua’, ‘Sei sopravvissuta e le vittime non sopravvivono’. Però non ho voluto dargliela vinta. Ogni giorno pratico la felicità e il mio sorriso nessuno me lo porta via. Non mi concentro più su quello che mi è stato tolto ma guardo la fortuna che ho, gli affetti grandi che ho intorno che mi permettono sempre di essere positiva. Purtroppo, oltre a tutto quello che ho dovuto legalmente sopportare, non sono in grado di pagare le spese legali. Anche se la cosa è stata archiviata e ho vinto, la controparte si dichiara nullatenente e tutte le spese che ho dovuto sostenere in tribunale per difendermi, tra avvocati e perizie, ammontano a circa 98mila euro e le dovrò sostenere io. Non ce la farò mai”.

L’associazione “Fare X Bene Onlus” ha deciso di appoggiarla attraverso la campagna “Regala un sorriso per Vale” che partirà il prossimo 25 novembre.

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