Fabio Volo a cuore aperto: "Ho la crisi della terza età. Anche in amore" - Perizona Magazine

Fabio Volo a cuore aperto: “Ho la crisi della terza età. Anche in amore”

Daniela Vitello

Fabio Volo a cuore aperto: “Ho la crisi della terza età. Anche in amore”

| 11/06/2020

Mai banale. E’ Fabio Volo in tutte le sue interviste, compresa l’ultima rilasciata a Selvaggia Lucarelli per “Tpi”. Il conduttore […]

Mai banale. E’ Fabio Volo in tutte le sue interviste, compresa l’ultima rilasciata a Selvaggia Lucarelli per “Tpi”.

Il conduttore e scrittore racconta la sua quarantena: “È successo che a fine febbraio mio figlio più grande era in vacanza perché la scuola d’inglese era chiusa per la settimana bianca. Johanna era con i nostri figli e con una coppia che ha un bambino che va in classe con Sebastian, in Liguria. Io li avevo raggiunti il giovedì, poi la domenica hanno annunciato il lockdown e siamo rimasti lì, in una casa in affitto per due famiglie”. Una specie di comune hippy ma “senza le cose belle degli hippy”. “Abbiamo vissuto in una dimensione molto bella, i bambini avevano gli amici e in più c’era un giardinetto. Siamo stati in una bolla”, aggiunge.

“A me piace stare in casa, ci resto quasi sempre, che poi è anche uno dei motivi di noia della mia compagna – svela – Io devo scrivere, leggere, pensare, la casa è la dimensione ideale. A Milano prima del virus mi concedevo giusto la palestra la mattina, quando non uscivo per lavoro”.

Fabio Volo ammette di essere stato colpito dalla “crisi della terza età”. “Mi è arrivata quella roba lì che dici: caz*o, vedo il declino, rallentiamolo – confessa – Non è che ho un bel fisico, cerco di arginare. Sto diventando come L’Avana, a qualcuno può anche piacere quella decadenza, ma ci vuole l’occhio del turista”. La crisi si è presentata circa un anno fa per una serie di cause. “I miei figli sono un po’ più grandi – spiega – io inizio a voler lavorare meno e la mattina, fino a prima della quarantena, mi ero concesso il personal trainer che non avevo mai avuto. È il sentire i 50 che si avvicinano”.

Quindi illustra la sua teoria sulle “ginocchia”: “Sono una spia importante. L’età la vedi da lì. A una donna devi guardare il ginocchio, è come contare i cerchi sui tronchi. Quando io faccio yoga e mi metto nella posizione del cane che guarda in giù, mi vedo le ginocchia, ecco lì è un dramma. Comunque dentro in fondo sono sempre stato un anziano. Mi piace fare le cose che fanno gli anziani: leggere, guardare i film, viaggiare come i pensionati, le calze bianche, le Birkenstock che mi ha fatto prendere Johanna. Giravo per la California con le Birkenstock”.

La crisi della terza età lo ha colpito anche in amore. Qualche mese fa, si era vociferato di un momento no con la compagna. “Ma sì, ci sono le crisi, poi si ritorna, dove vuoi che si vada – commenta – Quando si supera una crisi, tu dici: ok, questa volta è andata, basta. Poi passa qualche mese, se sei fortunato un anno, e c’è un’altra crisi, un altro problema. È quella roba dei cancelli, non finiscono mai. Ma in fondo accade se sei vivo. A proposito. Stavo leggendo Marquez, ‘L’amore ai tempi del colera’, ti leggo un passo. ‘Non ebbe mai la pretesa di amare e di essere amata pur avendo sempre la speranza di trovare qualcosa che fosse come l’amore ma senza i problemi dell’amore’. Io prendo molto seriamente la famiglia, più che la relazione la famiglia, perché sono italiano, ho quell’idea radicata della sacralità della famiglia. Io devo lavorare sulla connessione, devo pensare meno e sentire di più. Il mio problema è che elaboro tanto con la testa. Se tu mi chiedi come sto, io ti dico quello che penso ma non quello che sento”.

“Continuo con la mia insoddisfazione, con l’irrequietezza, quell’orizzonte lì per me non è mai finito: devo cercare, indagare, provare – confida – Diciamo che sono a pari con la mia famiglia di provenienza, con gli amici, con quegli affetti. Mi sento a volte inadeguato come padre, anche nella relazione con Johanna, diciamo che ci sono sempre punti oscuri che fatico a decifrare, però sono abbastanza a pari con la mia esistenza. Una volta che raggiungo una sorta di consapevolezza e dico ‘ho capito’, poi non ho capito un cazzo. Diciamo che appena ci metto il cappello sopra, dopo un po’ non c’è più niente sopra. Non sono mai definito in una cosa. Pensavo di aver faticato fino a 40 anni e poi di aver capito tutto, invece è sempre tutto più misterioso”.

Sul fronte professionale sente molto l’ansia da prestazione, anche perché i cosiddetti “avvoltoi” sono tutti in attesa di un suo flop. “Io ora sono Fabio Volo, vendo milioni di libri, in tv devo fare per forza il 20 per cento – spiega – Se magari faccio il 5 perché sto sperimentando il giorno dopo non vedono l’ora di scrivere flop (…) Appena mostro il fianco, mi buttano giù, non vedono l’ora”. Come non vedono l’ora di “ridimensionarlo”. Per tanti, infatti, Fabio Volo è “un panettiere che ha avuto fortuna”, per altri “scrive libri ma non sei uno scrittore”.

“Nella vita privata il mio analista mi dice: è ora che ti prendi i tuoi meriti – rivela -Io per mia storia familiare ho sempre la sensazione di aver rubato qualcosa a qualcuno. O che… o che… quel qualcosa non me lo merito, non so. Vedi che mi incarto quando dico cose che mi toccano? Come se dietro i traguardi che ho raggiunto, ci fosse una specie di inganno, a quasi 50 anni questa sensazione me la porto ancora dietro, ecco”.

Di una cosa, però, è certo. Ovvero di “aver fregato tutti”. “Scusa eh, eri figlio di, con 4 lauree e non sei riuscito a far niente. Arrivo io ignorante come pochi e mi prendo tutto, è chiaro che ho vinto”, ironizza. E a proposito dell’analista aggiunge: “Sono andato 5 o 6 volte poi c’è stato il lockdown. Ha lasciato l’operazione a cuore aperto. Per fortuna la scrittura è autoanalisi, io mi salvo perché scrivo”.

Sincero come pochi, spiega poi il senso di inadeguatezza che prova rispetto al suo ruolo di padre: “Il problema è l’equilibrio tra la salvaguardia di ciò che sono io come persona e il ruolo di padre. Lavoro tutto il giorno, non vedo i figli, sono le sette di sera, me la meriterò una birra con gli amici per parlare di niente, no? Sì, vado. Poi però torno, mio figlio dorme, non l’ho visto tutto il giorno e penso di essere un egoista. Se resto a casa con lui penso: però non c’è mai posto per me. Insomma, so che devo conservare delle cose che sono solo mie, che mi danno la gioia di vivere, perché non sempre io riesco a estrarre la gioia di vivere stando con i miei figli, ho bisogno di andarla a prendere anche da altre parti. Io dico sempre una cosa a loro e loro mi ripetono la risposta a memoria: “Qual è la cosa più importante? La gioia di vivere!”. Che non è nemmeno la felicità. Li voglio indipendenti, sono fortunato perché Johanna è islandese, ha la mentalità nordica. A volte si scontrano le due culture. Mi sento molto mamma italiana, lei è la mamma islandese. Se siamo a cena, lei si diverte. Io sono quello che chiama i nonni e chiede se va tutto bene, che va in vacanza in un posto e guarda quanto dista l’ospedale. Sto imparando a fare il padre facendo il padre”.

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