Mihajlovic, la conferenza stampa dopo il trapianto: "Non ho più lacrime, mi sono rotto di piangere" - Perizona Magazine

Mihajlovic, la conferenza stampa dopo il trapianto: “Non ho più lacrime, mi sono rotto di piangere”

Daniela Vitello

Mihajlovic, la conferenza stampa dopo il trapianto: “Non ho più lacrime, mi sono rotto di piangere”

| 29/11/2019

“L’ultima volta che avevo parlato era il 13 luglio, quando avevo annunciato la malattia. Ora voglio spiegarvi il mio stato […]

“L’ultima volta che avevo parlato era il 13 luglio, quando avevo annunciato la malattia. Ora voglio spiegarvi il mio stato di salute”. A parlare così in una conferenza stampa tenuta stamani allo stadio Renato Dall’Ara è Sinisa Mihajlovic. L’allenatore serbo, affetto da leucemia, è reduce da un trapianto di midollo osseo. Davanti a lui c’è la squadra rossoblù al completo. “Devo ringraziare tutti i medici per avermi supportato, nessuno meglio di loro sa quanto sia difficile affrontare la malattia – prosegue il tecnico del Bologna – Senza il loro aiuto non avrei mai fatto questo percorso, che secondo me sta andando molto bene. Ringrazio tutti, dai dottori che mi hanno assistito fino agli infermieri. Ho trovato degli angeli custodi, mi hanno aiutato anche psicologicamente. Li ringrazierò per tutta la vita. Mi ha dato tantissimo affetto. Mi dispiace non riuscire a citarli tutti”. Mihajlovic si commuove e cerca di stemperare la tensione con una battuta: “Ho finito le lacrime. Ora sono rotto le pal*e di piangere”.

La parola passa a Michele Calvo, il direttore del reparto di ematologia presso cui è in cura l’allenatore del Bologna. “Questa è la prima volta che parlo con la stampa e lo faccio dietro la richiesta di Sinisa – dichiara – C’era da essere molto cauti e prudenti verso questa malattia e il percorso di cure. La complessità della diagnosi e del percorso l’abbiamo affrontata con il meglio della nostra professionalità, sapere e conoscenze. Oggi sono qui a parlare a nome di tutti quanti i medici. Quello che è stato diagnosticato a Mihajlovic e scoperto attraverso altri esami cui si è sottoposto è una leucemia acuta mieloide. Significa che un particolare tipo di globuli bianchi vanno incontro a un processo di arresto della loro maturazione e proliferano senza avere controllo. Questo porta il midollo a perdere le sue capacità. Dopo aver svolto i primi accertamenti siamo passati all’azione. Oggi abbiamo a disposizione terapie mirate per questa malattia, delle terapie personalizzate. E il processo che abbiamo intrapreso ha portato al trapianto di midollo osseo a cui si è sottoposto Sinisa. Il nostro approccio è stato classico, fatto di cicli chemioterapici. L’obiettivo è ottenere la remissione completa, ossia far scomparire le cellule tumorali dal midollo osseo. Questo è stato ottenuto sin dal primo ciclo. Il secondo ciclo è avvenuto utilizzando gli stessi farmaci, riproducendo tutto come nel primo caso. Ma questa volta è stato più breve. Quasi in contemporanea con la diagnosi siamo partiti con la ricerca del donatore migliore da offrire a Sinisa. Prima con i familiari, suo fratello e i tre figli. Contemporaneamente abbiamo esplorato quali donatori possibili e compatibili ci fossero nell’archivio. La scelta finale è stata di prendere un donatore da registro e utilizzare questo tipo di trapianto. Qui arriviamo alla parte finale della storia, la più recente. Oggi è un mese esatto dal trapianto. Di quello che è avvenuto dopo il trapianto non vi so dire nulla perché è ancora troppo precoce. Sinisa mi ha chiesto di venire qui perché voleva chiudere un cerchio aperto quattro mesi prima. Dal suo punto di vista è legittimo, dal nostro punto di vista no. Siamo in una fase estremamente precoce e abbiamo bisogno di tempo per valutare la risposta, ma siamo felici di avervi restituito Mihajlovic”.

“I primi 100 giorni sono i più delicati, sono quelli in cui costruiamo un nuovo sistema immunitario – interviene la dottoressa Francesca Bonifazi – Il ritorno alla vita normale avverrà gradualmente e in funzione di tanti fattori. Valuteremo di volta in volta la possibilità che Sinisa possa essere presente. La valutazione potrà portare a una limitazione, magari parziale o variabile in situazioni di grandi affollamento. Questo non limiterà l’indomito spirito guerriero che abbiamo avuto il privilegio di apprezzare. Non si può definire la guarigione dopo cento giorni, ma si riducono i rischi legati al trapianto. Dopo due anni può esserci una prima definizione di guarigione”.

Mihajlovic riprende la parola: “Volevo ringraziare a tutti quelli che mi hanno dimostrato vicinanza e affetto in questi mesi e in modi diversi. Chi ha scritto lettere, pregato per me, pellegrinaggi, striscioni, cori. Mi sono sentito, specialmente nel mio mondo del calcio, molto protetto e amato. Parte di una famiglia. Questo è stato fondamentale. Poi volevo ringraziare tutti i tifosi, delle squadre dove ho militato e non. Ma soprattutto i tifosi del Bologna, mi hanno fatto sentire un fratello, un figlio. Ringrazio la società, il presidente, il dottor Fenucci, i magazzinieri, lo staff, i giocatori. Sono stati unici dal primo momento, da quando hanno saputo della malattia non hanno mai messo in dubbio la mia permanenza al Bologna. Questo mi ha fatto sicuramente sentire più tranquillo e non sono cose che succedono tutti i giorni. Voglio ringraziare anche gli amici più stretti. Ma il ringraziamento più sentito va alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei figli. Mia moglie è stata tutti i giorni con me e mi ha dimostrato un’altra volta, anche se non c’era bisogno, di essere molto fortunato e di avere una donna accanto che forse è l’unica persona che conosco ad avere più pa*le di me. E poi i miei figli, che sono la mia vita. Quando c’era la possibilità di donare il midollo, loro hanno accettato subito. Non è una cosa così scontata. E poi ringrazio mio fratello, che anche lui ha donato. E mia madre, che vive in Serbia”.

“Ho passato quattro mesi e mezzo tosti – prosegue Sinisa – sono stato rinchiuso in una stanza di ospedale da solo, con aria e acqua filtrata. Il mio desiderio era prendere una boccata d’aria fresca e non lo potevo fare. Non mi sono mai sentito un eroe per quello che sto facendo. Solo di avere un carattere di chi non molla mai, ma sempre un uomo con tutte le sue fragilità. Queste malattie non le puoi vincere solo con il coraggio, servono le cure. Quando sono entrato in ospedale ho capito di essere nel posto giusto. E voglio dire a tutti quelli che sono malati di leucemia o altre malattie gravi, che non si devono sentire meno forti se non affrontano la malattia come ho fatto io. Non c’è da vergognarsi ad avere paura, piangere o essere disperati. Unica cosa che non devono perdere mai è la voglia di vivere. La malattia è bastarda, ci vuole molta pazienza. Non devono pensare a quando entrano o quando usciranno. In ospedale si lavora di giorno in giorno, dandosi piccoli obiettivi, giornalieri, settimanali. Ogni giorno in più passato in ospedale è un giorno in meno verso l’uscita. Ognuno l’affronta nella propria maniera, ma quello che mi sento di dire è che comunque, se sei forte e ci credi, il sole arriva. Molto difficile dal punto di vista psicologico, lo so. Perciò devi essere forte di testa e la forza la devi trovare dentro e nella gente che ti vuole bene”.

“E’ normale avere paura, ma è quella che ti fa rigar dritto e non ti fa esagerare – aggiunge – Sono stato due giorni in campo e sono stato benissimo, poi però mi sono sentito stanco. La prima volta sono dimagrito 13 chili, adesso 9. Ci sono momenti di stanchezza. Prendo 19 pasticche al giorno, dalla mattina alle 8 fino a mezzanotte. Li prendo, perché il mio obiettivo è uscire dall’ospedale. So che tornerò per fare visite, ma non dormo più là, dormo a casa mia. Ti devi dare delle regole: che si formino globuli bianchi, che cominci a mangiare, e non è facile visto che ho perso il gusto. E poi devi prendere tutte pasticche per bocca, perché se le prendi per endovena non puoi uscire. Ma spero dopo questa esperienza di uscire come un uomo migliore, perché sicuramente nella vita precedente la pazienza non era il mio forte. Mi godo ogni minuto della giornata, tutto quello che prima mi sembrava dovuto ora lo vedo in un’altra maniera. Mi godo tutto, esco fuori. Sembra niente, ma prendere una boccata d’aria diventa una cosa bellissima (…) Quando sono uscito dall’ospedale mia moglie ha postato una frase del mio amico Eros ‘più bella cosa non c’è’. La frase è adatta per quel momento. Perché torni a casa tua, ti godi il tuo lavoro e la tua famiglia. Oggi uso un’altra frase di un altro grande come Vasco Rossi: ‘Io sono ancora qua’. E non mollerò niente”.

“A Verona ero 72 chili, sembravo un morto che camminava – chiosa – Ma avevo fatto una promessa alla squadra e dovevo farlo per forza. In quei 90 minuti ci sono stati momenti in cui mi girava la testa, ma l’ho fatto perché lo dovevo fare, per dimostrare a tutti di aver lottato tutti i giorni. Di fare sacrifici, di fare di tutto per amore del proprio lavoro e per tutta la gente che mi ha voluto bene. Per i miei figli, per mia moglie. Non potevo mollare. Quando senti questo affetto da tutti non puoi deludere. All’ultimo posto metti te stesso, al primo i tuoi familiari, gli amici e tutta la gente. L’ho fatto per loro e poi per me, perché mi faceva sentire vivo. Uscito dall’ospedale era bellissimo, qualcosa che ti dà la forza per andare avanti. Quando sono entrato in ospedale mi sono dato obiettivi minimi, anche giornalieri. Così sono arrivato alla fine, o meglio: non è ancora la fine, ma almeno sono uscito da quel caz*o di ospedale. La gente è stata fondamentale, senza di loro non ce l’avrei fatta”.

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