Milly Carlucci: "Non mi sono mai piaciuta fisicamente, ho dovuto fare un grande lavoro su me stessa" - Perizona Magazine

Milly Carlucci: “Non mi sono mai piaciuta fisicamente, ho dovuto fare un grande lavoro su me stessa”

Daniela Vitello

Milly Carlucci: “Non mi sono mai piaciuta fisicamente, ho dovuto fare un grande lavoro su me stessa”

| 02/11/2019

Milly Carlucci ripercorre la sua vita e la sua carriera in una lunga e intensa intervista rilasciata a Pierluigi Diaco […]

Milly Carlucci ripercorre la sua vita e la sua carriera in una lunga e intensa intervista rilasciata a Pierluigi Diaco a “Io e te – Di notte”.

LA GIOVENTU’ E LA FAMIGLIA

“Quando ero giovanissima facevo le gare, i miei sabati e le mie domeniche li passavo in trasferta. Ho sempre avuto questo destino dell’andare in giro, del cercare, del dire, dell’esibizione… Erano sabati e domeniche così di trasferte. Il pattinaggio artistico è uno sport molto povero, non ha grandi sponsor, non ha coperture finanziarie. Quindi autoprodotti e autofinanziati non tutti andavamo a fare le nostre gare. Mi accompagnavano papà e mamma. La cosa meravigliosa della mia famiglia è stata quella di essere un clan che ha sempre fatto squadra: per la mia passione, per quella delle mie sorelle che sono arrivate dopo e hanno fatto anche loro pattinaggio. Abbiamo sempre condiviso tutto ed è stato il motivo per cui i miei genitori quando se ne sono andati in tardissima età hanno creato questo grande vuoto. È sparito il motore di questa macchina che ci trascinava in avanti, con tutto quello che loro hanno rappresentato nella mia vita e nella vita delle mie sorelle”.

IL CONFRONTO TRA L’ITALIA DI IERI E QUELLA DI OGGI

“L’Italia è cambiata e non è cambiata. Noi ora il 2 e il 3 incominciamo il giro d’Italia che ci porterà a contatto con l’Italia che balla che sembra un fenomeno di nicchia, collaterale e invece è un grande fenomeno di massa: sono 6 milioni i praticanti del ballo in Italia. C’è un pezzo d’Italia che crede nella possibilità di sognare, di evadere, di risolvere i piccoli problemi quotidiani di un’esistenza che spesso non è gloriosa, non è fatta di rose e fiori, attraverso il ballo. Quello che c’è sempre allora e oggi è il fatto che noi italiani sappiamo sognare. Questa è una cosa pazzesca che noi abbiamo: sappiamo proiettare il cuore oltre l’ostacolo e sappiamo credere nelle cose che facciamo. Poi l’Italia di allora era un’Italia più semplice, molto più ingenua. Questa Italia di oggi… Io vado dal nord al sud Italia e tu vedi, intorno alla pista dove noi facciamo i provini, gente di ogni estrazione sociale, dal luminare, al professore universitario che balla in un gruppo di country dance, al bracciante, disoccupato, ecc… Giovani e vecchi tutti con lo smartphone in mano. Allora dici siamo tutti uguali e tutti telematici ma non è proprio così: lo smartphone in mano dà una sensazione di modernizzazione ma permane un senso della famiglia diverso dal nord al sud, c’è ancora un senso della mamma chioccia che varia pure questo dal nord al sud, gli anziani si muovono in modo diverso: più evoluti in alcune parti, più indipendenti; più invece parte di un clan, di una famiglia e forse un po’ più fragili”.

L’IO DELLA CARLUCCI E I PROBLEMI AD ACCETTARSI FISICAMENTE

“Ti devo confessare una cosa: quando ho iniziato questo lavoro, il primo grande lavoro che ho dovuto fare è stato su me stessa e l’ho continuato a fare negli anni perché fa parte di un percorso che sto ancora compiendo, che è quello del superamento della mia timidezza iniziale. La mia timidezza iniziale non era solo timidezza, c’era anche il fatto molto importante che io sono cresciuta a Udine, in una società un po’ all’antica in quegli anni in cui la mia maestra delle elementari, Maria del Negro, diceva sempre: quando si presentano delle persone si dice sempre ‘Pierluigi, Maria ed io’. Tu sei sempre l’ultimo perché tu sei l’ultimo: prima gli altri e poi tu, che è un atteggiamento mentale. Prima gli altri e poi io. Ora questo fatto era diventato così connaturato in me che rischiava di essere controproducente per il lavoro che stavo intraprendendo. Io dovevo assumere la forza di stare al centro del palco e di essere ‘Io’ lo dovevo prendere e quindi pian pian ho dovuto combattere questo essere ed ‘io in fondo alla fila’. Il percorso che ho fatto tutta la vita è stato un percorso per fare pace con me stessa, arrivare ad accettarmi così come sono. Una delle cose che ho dovuto superare, sembra strano per uno che fa questo mestiere, è il fatto di non piacermi fisicamente. Non mi sono mai amata né mai sentita bella. Ma c’è un motivo preciso perché poi l’ho analizzato e ho cercato di chiedermi: ‘perché ti devi sentire sempre così in inferiorità?’ e il problema è che il nostro mondo ha dei riferimenti stilistici molto forti. Nel periodo in cui io ho aperto gli occhi al mondo, durante l’adolescenza in cui ti vedi allo specchio, era il momento in cui andava la donna anoressica. La donna filiforme che io non ero, perché avevo due gambe muscolose, spalle potenti, ero proprio il contrario rispetto alle mie coetanee che avevano la minigonna e le gambe filiformi, con le spalle incurvate. C’è un certo momento della moda che è così, a cicli. Poi c’è un altro momento in cui torna di moda la donna fiorente. Io sono capitata nel momento sbagliato”.

L’ARRIVO A ROMA
“Lascio Udine e arrivo a Roma e Roma è una città dirompente, Roma è una bomba atomica, intanto perché è una metropoli e io venivo da una piccola città di provincia e poi perché chi vive a Roma ha un modo di essere tutto estroverso, molto espressivo, tutto colorito, pittoresco che non mi apparteneva minimamente. Noi ci siamo trasferiti perché mio padre, militare, ha lasciato l’aeroporto di Campoformido a Udine ed è stato trasferito all’aeroporto dell’Urbe a Roma. Quindi ci siamo trasferiti che io ero una ragazzina, avevo 17 anni. Ero un pesce fuor d’acqua perché non capivo i punti di riferimento, non capivo come dovessi giudicare le persone. Ero proprio spaesata. Ho avuto un anno difficile perché venivo da una realtà profondamente diversa”.

IL RICORDO DEL PAPÀ “FEMMINISTA”

“Mio padre è stato l’uomo che ci ha veramente plasmate, moralmente. Mio padre è un uomo che è nato nel ’27, un uomo dell’inizio del secolo scorso, quindi un uomo con un certo tipo di dirittura e di struttura e di solidità morale che faceva parte di una certa generazione. In tutto questo lui era modernissimo: lui è stato per noi il primo vero femminista, cioè quello che ci ha detto: ‘la prima cosa che dovete fare nella vita è studiare, trovare un lavoro e avere il vostro denaro che vi permetterà di essere indipendenti perché nessuno vi potrà dire cosa dovete fare se siete indipendenti’. Un femminista vero. Una lezione incredibile e noi abbiamo seguito ognuna di noi questa strada. È bellissimo avere compagni nella vita, è la cosa più importante ma non perché uno deve essere come una specie di cozza aggrappato all’altro diventando insicuro e poi soffocante. È bello se ognuno sta in piedi per proprio conto e poi si uniscono le strade, poi si va avanti insieme”.

IL MARITO ANGELO DONATI

“Angelo che è un ingegnere è la persona più divertente, giocosa e piena di senso di humor che io abbia incontrato nella mia vita. Ed è un uomo che sa sdrammatizzare il mio lato da bilancia sognatrice ma anche malinconica, presa da questa poesia che a volte è rosa ma delle volte può essere anche grigia. Lui sdrammatizza tutto”.

IL RICORDO DI FABRIZIO FRIZZI

“Incontrare Fabrizio e avere la sua amicizia voleva dire sapere di poter contare su di una persona davvero. Lui era proprio generoso, altruista e poi una persona educata, una persona rispettosa del prossimo, una persona sempre preoccupata che tu fossi a tuo agio, non metteva se stesso davanti ma c’erano prima gli altri poi c’era lui… Tant’è vero che una delle sue cose tipiche (noi abbiamo fatto insieme tanti anni, vicini di camerino facendo scommettiamo che), e Michele Guardì lo rimproverava sempre, perché lui arrivava sempre in ritardo ma non perché fosse in ritardo ma dal momento in cui entrava doveva salutare tutti quanti stringendo a tutti la mano”.

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