Camilleri: "Ho avuto una vita fortunata e vorrei essere ricordato come una persona perbene" - Perizona Magazine

Camilleri: “Ho avuto una vita fortunata e vorrei essere ricordato come una persona perbene”

Daniela Vitello

Camilleri: “Ho avuto una vita fortunata e vorrei essere ricordato come una persona perbene”

| 17/07/2019

Il volto privato di Andrea Camilleri, scomparso a 93 anni, è racchiuso nell’intervista concessa al “Corriere.it” nel dicembre 2018. “Ho […]

Il volto privato di Andrea Camilleri, scomparso a 93 anni, è racchiuso nell’intervista concessa al “Corriere.it” nel dicembre 2018.

“Ho imparato a sentire le persone, da quando non posso più vederle – esordì parlando della sua cecità – Cerco di dare corpo a una voce, modulandone le sfumature. Una voce profonda e bene impostata risponderà a una persona educata? Forse sì, forse no. E allora a volte sento l’urgenza di sfiorare i capelli o il viso di chi mi sta di fronte, alla ricerca di indizi”.

A mancargli erano soprattutto i colori. “Mi manca non poter più vedere la sfumatura precisa del giorno che si fa sera, il rossore sul viso di una ragazza, mi mancano quei colori che compaiono all’improvviso e che si colgono con una fitta al cuore – disse – Ho paura di perderne il ricordo: com’era quella nuance di violetto? mi chiedo. E in quale tinta sconfina il rosso scuro? Allora, dentro di me, in uno di quei momenti di auto-affabulazione, mi alleno a ricordare i colori, forse a comporre sfumature diverse. E sa dove me li ritrovo? Nei sogni. Faccio sogni coloratissimi, come non ne ho mai fatti quando ci vedevo bene”.

Nonostante tutto, si professava un uomo felice con tanti motivi per esserlo. ”Perché ho avuto una vita fortunata, perché ho campato di un lavoro che amo, perché ho amato tanto. Ma sa qual è una delle cose che più mi hanno reso felice? Ho fatto in tempo a scorgere i tratti del viso della mia nipotina di cinque anni, Matilda”.

“Sono stato accudito, innaffiato – proseguì – E non parlo solo dei miei 61 anni di matrimonio. A ‘innaffiarti’ è anche il tuo sangue, la tua terra, l’appartenenza a un mondo. Questo non è da tutti. In tanti si perdono e smarriscono il contatto con un’identità che, con gli anni e con le vicissitudini, può diventare rarefatta. Ma non va mai persa. Ci nutre, ci salva”.

Come si arriva a 61 anni di matrimonio? “Accettando il fatto che il matrimonio muta, per necessità e, aggiungo io, per fortuna. Se ci si cura a vicenda, se ci si ‘innaffia’, appunto, si giunge insieme a quel meraviglioso momento in cui l’altro ‘ti diventa caro’. E la sensazione che si prova è quella di appartenere a un solo corpo. Si finisce per somigliarsi, l’uno con l’altro. Che cosa ha a che fare questo con l’amore? Nulla. Tutto”.

Tra i suoi rimpianti c’era quello di “non aver detto un ‘no’ più convinto al fascismo”. “Ma a essere onesti ci sarebbe voluto un coraggio inumano – precisò – Ho detto no, ma tardi, dopo averci creduto come tutti. A guardarmi indietro ora ai miei occhi appaio come uno che ci è cascato e questo mi fa tanta rabbia”.

Il papà di Montalbano, si scopre, non amava rileggere le sue opere. “Ogni volta che mi infliggo la tortura di rileggere una cosa che ho scritto – svelò – mi inquieto, mi dico ‘ma guarda, cialtrone, hai lasciato fuori questo, hai eluso quell’altro, non hai dato spessore a quell’altro ancora’. Che orrore rileggersi. Che orrore ripercorrere ciò che si è fatto (…) Una volta finito un romanzo, butto via tutto. Appunti, stesure, correzioni, note di ispirazione. Voglio che non resti più nulla dello sforzo, nulla che possa ricordarmi un errore, una mancanza. Sa qual è una delle torture della mia vita? Quando un traduttore, poniamo greco, mi chiede di spiegargli un passaggio. Ora, questo è molto comprensibile e tutti quelli che conoscono i miei libri lo sanno. Però implica che io vada a rileggere una pagina delle mie. Madonna che pena!”.

La scrittura era per lui un ottimo antidoto contro la solitudine. “Sono vecchio, cieco e ci sento ormai pure poco – dichiarò – Quelli come me si sentono doppiamente soli. E allora sa che faccio? Mi racconto storie. Abbozzo racconti e romanzi solo per me, che non pubblicherò mai e che distruggo una volta che mi hanno fatto compagnia. Mi invento situazioni, abbozzi di film, prendo un personaggio e gli stravolgo il destino, ne acchiappo un altro e mi diverto a vederlo stupito per la giravolta che gli impongo, nel mezzo della sua vita. Che sensazione di potenza che dà la scrittura. Se lo ricordi”.

“A novantatré anni ho bisogno di fare cose, sentire gente, ridere – aggiunse – Ogni momento diventa preziosissimo. E poi voglio scrivere in mezzo alla caciara dei bambini, tra nipoti, pronipoti e amichetti dei nipoti. Mia moglie mi dice che non sono uno scrittore, bensì un corrispondente di guerra, perché scrivo in mezzo a strilli e risate. Ma come glielo posso spiegare che la mia scrittura nasce dal casino della vita?”.

“Maestro, come vorrebbe essere ricordato?”, chiese la giornalista. “Come una persona perbene”, chiosò lo scrittore siculo.

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