Catena Fiorello: "Io e i miei fratelli avevamo le scarpe di cartone ma non conoscevamo l'infelicità" - Perizona Magazine

Catena Fiorello: “Io e i miei fratelli avevamo le scarpe di cartone ma non conoscevamo l’infelicità”

Daniela Vitello

Catena Fiorello: “Io e i miei fratelli avevamo le scarpe di cartone ma non conoscevamo l’infelicità”

| 16/02/2019

Catena Fiorello, sorella di Rosario e Giuseppe, si confessa in una lunga intervista a “Vanity Fair”. Scrittrice di successo e […]

Catena Fiorello, sorella di Rosario e Giuseppe, si confessa in una lunga intervista a “Vanity Fair”. Scrittrice di successo e autrice di “Picciridda” (il romanzo d’esordio che è diventato anche un film di cui ha curato la sceneggiatura), Catena ha appena pubblicato il suo nuovo libro “Tutte le volte che ho pianto”.

Come racconta a “Vanity Fair”, Catena non piange più da anni: “Dalla morte del mio compagno Attilio, otto anni fa: eravamo stati insieme tanto e anche se quando lui si è ammalato di carcinoma ci eravamo già lasciati ho seguito tutto il percorso della sua malattia, soffrendo. E anche quando è morto il mio cane Giotto ho pianto molto, addirittura mi veniva via la pelle dalle palpebre. Quanto mi piacerebbe rifarmi un bel pianto così! Io sono la nemica numero uno del “good vibes” (pronunciato all’italiana, ndr), di questa positività esasperata di moda oggi. Il mio prossimo libro s’intitolerà: “E se ti chiedono ‘Come stai?’, rispondi sempre ‘Benissimo’. Ormai a nessuno importa più dei nostri malanni”.

Come a nessuno, specie a “chi ha una casa e da mangiare”, importa più di “empatizzare con chi scappa dal proprio Paese e se lo fa è connivente con gli immigrati che commettono furti e stuprano. Assurdo”. “Ci hanno inculcato che il nemico viene da fuori – spiega – Ma chi reagisce con disprezzo non è esasperato dalla povertà. La povertà non giustifica l’odio: ai miei fratelli e a me, per esempio, non è successo”. “Io frequentavo il liceo classico ad Augusta e in classe con me c’erano i figli di avvocati, ingegneri, notai, mentre papà era “solo” un finanziere – racconta – Tutti avevano la villa al mare, noi ogni sera tiravamo giù in salotto i letti per Rosario e Giuseppe. Gli altri indossavano le scarpe firmate, noi andavamo a comprarle da Lillo Calzature: erano di cartone e si bucavano subito. Però l’infelicità non l’abbiamo patita mai”.

Terzogenita di una famiglia di artisti (solo la sorella Anna è estranea al mondo dello spettacolo, ndr. ), Catena si considera da sempre “la figlia più difficile”, vittima di una “profonda ingiustizia sociale”. Lo showman Rosario era il primo maschio, Anna la prima femmina, Giuseppe l’ultimo e in mezzo “c’ero io che non servivo a niente. Ho dovuto lottare per tutto”.

Da piccola ha dovuto lottare anche con un nome, Catena, col quale ha fatto pace grazie a Maurizio Costanzo. “Lavoravo come autrice a Buona Domenica – svela – e lui mi disse: ‘Tu con un nome così bello ti fai chiamare Cati che è così banale?’”. Da grande, ha combattuto contro un tumore al seno “scoperto grazie al radiologo che mi ha fatto la prima mammografia: cinque noduli avevo, ma non si vedeva niente. Lui ha insistito perché indagassi. La mia vita la devo a lui”.

Infine, Catena dichiara di voler “morire signorina”. Un paradosso se si considera che in passato gestiva un’agenzia matrimoniale. “Il mio fidanzato Paolo c’è ancora, ma io ho capito di non credere all’amore eterno – spiega – È che un marito per me deve essere responsabile, starti vicino, accudirti. E allora gli uomini non ne sono capaci”.

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