"Mi rendevano scemo con la droga", è guerra tra Young Signorino e l'ex manager - Perizona Magazine

“Mi rendevano scemo con la droga”, è guerra tra Young Signorino e l’ex manager

Daniela Vitello

“Mi rendevano scemo con la droga”, è guerra tra Young Signorino e l’ex manager

| 09/10/2018

Karkadan, nome d’arte di Sabri Jemel, si toglie qualche sassolino dalle scarpe. Il rapper tunisino che ha fatto da manager […]

Karkadan, nome d’arte di Sabri Jemel, si toglie qualche sassolino dalle scarpe. Il rapper tunisino che ha fatto da manager a Young Signorino spara a zero contro il suo ex assistito e la neo moglie rea di avergli fatto terra bruciata attorno mettendo a repentaglio la sua carriera.

“Sono deluso da Young Signorino, mi sento pugnalato – sentenzia Karkadan in una lunga intervista a “Il Fatto Quotidiano” – Per lui ero un buon consigliere, un ottimo amico, un direttore artistico e anche dj, dato che lo accompagnavo sempre sul palco con la maschera sul volto. Da quando nella sua vita è arrivata questa donna di 34 anni non è stato più possibile interfacciarsi con lui, è cambiato totalmente, e alla fine si è eclissato da noi. Tutto il team la considera una grande delusione. Persone così in questo ambito si chiamano ‘gold digger’. Sono queste donne che cercano di allontanare gli artisti dagli amici per fare soldi, manipolandoli. Non a caso il suo primo video da quando si è allontanato da noi (Coma Lover, ndr) è stato realizzato da lei. Ma adesso cosa mangeranno, senza date o contratti?”.

“Ma lui ha ancora degli obblighi verso questo management, non si può esentare dall’oggi al domani – prosegue l’ex manager – Noi non eravamo solo una famiglia artistica per lui, gli facevamo come fonte d’appoggio a livello famigliare. Se si deciderà di andare di fronte a un giudice sarà lui a decidere chi avrà ragione e chi avrà torto. Finché questi obblighi erano rispettati c’erano date, feedback, contatti. Eravamo anche in trattativa con delle major discografiche, alcune italiane e altre internazionali. Mancavano solo pochi dettagli per chiudere alcuni contratti per lanciarlo all’estero. Da Dua Lipa ai Radiohead, in tanti si erano accorti di lui. E poi era in programma un libro con Rizzoli. Ora tutto è andato in frantumi”.

“Da quando è solo senza di noi l’unica data che ha annunciato è stata quella dei Magazzini Generali a Milano, ma hanno fatto solo 20 biglietti in prevendita e quindi è saltata – svela – Consideravo che le date non fossero un bene per il nostro progetto: lui non era ancora così strutturato o pronto per salire sul palco, ma lui voleva suonare e suonare e suonare perché era l’unico motivo di guadagno in quel momento. Quando ci saliva, invece, o riceveva gli insulti o bottiglie e bicchieri addosso. Era il rapper più d’odiato d’Italia, ma anche il più protetto da noi persone intorno. E le date, quando c’erano, o saltavano, o lui sbottava, o stava male”.

Karkadan spiega come Young Signorino sia un personaggio costruito a tavolino per scopi commerciali e smonta quello che sarebbe un castello di bugie create ad arte.

“Anche la storia del figlio era finta – racconta – Nessuno gli ha mai detto cosa dire. Ha inventato tutto lui, così come la cosa del coma, della clinica psichiatrica, di Satana. Ma questo è intrattenimento puro. Lui ha mentito sulla sua vita, ma se lui mentiva io dovevo romanzarla al meglio. Non potevo smentire un mio artista e dire ‘no, non è così’. Noi abbiamo solo inventato il personaggio Signorino: la musica, i beat, i testi. Lui voleva essere il Marilyn Manson italiano, e allora noi lo facevamo sentire così. Anzi, dirò di più: eravamo sulle tracce di Manson per un feat, che sarebbe dovuto entrare nel primo disco di Signorino”.

“Io l’ho aiutato ad allontanarsi dalla droga – conclude – Mi chiamava papà, e adesso a dire queste cose mi pugnalo da solo. Addirittura ho dormito due settimane su una panchina per farlo stare bene e aiutarlo economicamente”.

Dalle pagine del medesimo quotidiano arriva la replica di Young Signorino. “Ho letto un sacco di stron*ate – dice – Jessica (la moglie, ndr.) non è affatto una gold digger, perché una gold digger non si sposerebbe mai. C’è un sentimento vero dietro il nostro rapporto. Ho conosciuto Jessica quest’estate, durante il tour, e mi sono subito innamorato. È stata lei ad accorgersi della situazione in cui mi ero infilato. Mi rendevano scemo con gli stupefacenti perché sapevano che era il mio punto debole: non è vero che mi hanno aiutato a uscirne, tutt’altro. Jessica mi ha aiutato davvero, piano piano. Così ho iniziato ad allontanarmi dal team e a fare le cose da solo. Ora non ho alcun management, solo un’agenzia che mi segue per il tour, ma meglio così: guadagno molto di più, anche perché non devo più dividere niente con nessuno”.

“Non mi sono inventato un bel niente: ho i referti, e magari un giorno li pubblicherò – si difende -Nel 2016 sono entrato in coma e ho fatto quattro mesi di psichiatria. Appena finito quel percorso sono arrivato a Milano, ma la situazione che mi circondava non mi piaceva e allora sono tornato a Cesena. Lì ho avuto ancora problemi con le sostanze stupefacenti e allora ho cominciato un percorso di sei mesi al Sert, il servizio per le tossicodipendenze, che ho interrotto per tornare a fare musica a Milano, inseguendo il mio sogno…Mi sono sentito fottuto nella testa e toccato nel mio punto debole, che è la droga appunto. Mi sono sentito una marionetta, e loro erano il mio Geppetto. on vedo più nessuna sostanza stupefacente da mesi e consiglio agli altri di non usarla. Anche se nei miei testi se ne parla, non vuol dire che io stia esortando le persone a usarla… Ho capito sulla mia pelle che è meglio stare alla larga dalla droga… Non ho alcun figlio, come avevo già detto nei giorni scorsi sui social. Ma ero stato obbligato a dirlo. Il mio ex manager si è chiesto con che soldi mangeremo adesso. Io mi sento rinato”.

 

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